venerdì 4 dicembre 2015

La gatta di Corfù

Su questo blog non ho mai recensito un libro di poesie, e ho gentilmente pregato l’editore per il quale leggo e valuto gli inediti che pervengono in redazione di non inoltrarmeli se sono sillogi di poesie.
Questo perché io non amo la poesia. Per meglio dire: non amo i poeti contemporanei.
Come scrivevo da qualche altra parte una poesia, rispetto a un’opera di narrativa, possiede l’enorme vantaggio di essere di molto più corta, e perciò oggigiorno tutti, ma proprio tutti, si reputano in grado di scrivere una poesia. Eccheccivuole! Un’oretta di concentrazione e vai! Ne posso scrivere anche una al giorno, basta cercare parole che fanno colpo e metterle assieme nel modo più astruso possibile cercando di essere il più melensi possibile. Va be’, sì, lasciamo perdere, chiudiamo qui che è meglio.
Però amo i gatti, e quando è capitato in casa questo libretto non ho potuto fare a meno di scorrerne le pagine.




Vi domanderete: e come ha fatto un libro del genere a capitarti a casa? Presto detto: il mio editor è appassionato di tutto ciò che è greco nonché di gatti, quindi… e considerate che ogni poesia ha pure il testo a fronte in lingua originale greca! Che già il fatto che usino un alfabeto diverso dal nostro (e non mi venite a dire che quello è stato inventato prima…) mi provoca le convulsioni.
Leggere poesie tradotte in un’altra lingua poi, ha ancora meno senso che leggerle nella propria: si perdono tutte le assonanze fonetiche proprie dell’idioma che l’autore ha voluto inserire nell’opera e ne resta solo il significato nudo e crudo che poi, se il traduttore è stato in gamba, è stato anche rivestito di un qualcosa che può assomigliare all’intenzione originaria, ma che non sarà mai la stessa cosa.
Fatto sta che queste le ho lette e, sorvolando sul miserrimo tentativo di questi traduttori di renderne la musicalità in italiano, devo dire che al di là della forma-poesia mi sono gustato le storie dei vari gatti con i quali l’autore, Nikos Dimou, pubblicitario, editorialista e scrittore greco, è entrato in contatto e dai quali ha preso lo spunto.
Storie in genere toccanti e tristissime, come potete immaginare, che di norma vanno a finire male: se già la vita dei gatti di strada italiani non è il massimo (come quotidianamente ci racconta l’amico blogger de I gatti di Monte Malbe), quelli greci possono stare anche peggio. E sono tristi non solo le storie dei gatti di strada, ma anche quelle dei più fortunati gatti di casa che di solito va a finire che muoiono pure loro. La cosa strana è che Dimou dedica proprio ad un gatto che è stato suo compagno personale l’ultimo capitolo del libro, e non in poesia ma in prosa: un resoconto struggente e non in versi del suo rapporto con Mupsi, con il quale sembra esistesse una strettissima simbiosi come a volte si crea tra uomo e animale. Forse è perché ha scelto di mostrarla con la narrativa e non in poesia, che risulta essere il brano migliore del libro?
Dello stesso Nikos Dimou mi è capitato in casa anche L’infelicità di essere greci, una raccolta di aforismi in gran parte collegati tra di loro dal filo logico del concetto secondo il quale un intellettuale greco è la persona più infelice del mondo, perché gli intellettuali e gli artisti sono gli esseri umani più infelici, e perché quello greco è il più infelice tra tutti i popoli.
E per oggi in quanto ad allegria siamo a posto.
Il Lettore

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