sabato 19 settembre 2015

Le uova del drago

Qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale l’uomo politico inglese Sir Harold MacMillan (Primo Conte di Stockton e consigliere civile dell’amministrazione militare alleata in Italia), scriverà nel suo memoriale per la commissione studi delle nazioni Unite (War Diaries: Politics and War in the Mediterranean, January 1943 – May 1945): “Nel volgere di due anni, i siciliani avevano vissuto la duplice esperienza di essere occupati dai tedeschi e liberati dagli Alleati. Non è facile dire quale dei due processi sia stato più doloroso e più sconvolgente per loro.” E detto proprio da un inglese…
Nel narrare le avventure di una spia tedesca operante nella Sicilia post-invasione alleata, Pietrangelo Buttafuoco ha voluto raccontare come secondo lui i siciliani hanno vissuto dapprima l’occupazione nazista e quindi la liberazione.
Da siciliano colto, preparato, impegnato e “leggermente” di parte.




Le uova del drago è stato finalista al Premio Campiello 2006 ed è uno dei pochi libri schierati apertamente sul lato dell’ex governo fascista e in cui i tedeschi fanno la parte dei “buoni” che purtroppo hanno perso la guerra. Del resto Pietrangelo Buttafuoco è un giornalista e scrittore siciliano già attivista del MSI e quindi di AN, e col fatto che si è anche convertito alla fede islamica ha inserito in questo romanzo anche un nucleo di terroristi musulmani che avrebbero dovuto costituire dei focolai di rivolta per “liberare” di nuovo l’Italia dagli stessi liberatori e riportarla nelle mani del governo nazista. Le uova del drago, appunto.
Comunque, a parte le considerazioni politiche personali che non siamo qui per questo, come romanzo avrebbe anche potuto essere buono. Gli ingredienti ci sono tutti: la guerra, gli sconvolgimenti causati da essa, i terroristi, lo spionaggio, qualche amore, una bionda eroina tedesca e, più importanti di tutti, gli italiani e in particolar modo i siciliani con tutte le sofferenze attraverso cui sono passati. Inoltre, a differenza di Scurati (vedi l’ultimo post pubblicato), Buttafuoco non utilizza un lessico eccessivamente ricercato e quasi incomprensibile, e le sue costruzioni sintattiche sono abbastanza elaborate ma di una scorrevolezza fluida.
Ripeto, avrebbe potuto essere un buon romanzo.
Dove Buttafuoco pecca di complicazione invece, secondo me, è nella costruzione delle molte scene che compongono un affresco ricco di innumerevoli personaggi, rendendo arzigogolata anche una successione temporale cronologica con frequenti rimandi nel passato e incursioni nel futuro, tutte condite da considerazioni di carattere politico. Se non si resta più che concentrati nella lettura può capitare che il tutto si tramuti in un’accozzaglia di fatti confusi e slegati tra loro, dei quali non si ricordano i nomi dei protagonisti.
Un romanzo tratto da una storia vera ma complesso da leggere, nel quale dà fastidio anche l’acredine personale nei confronti dei vincitori di opposta fede politica che traspare dai brani in cui Buttafuoco tratta malissimo gli Alleati (molto peggio gli Inglesi che gli Americani) denunciandone infinite nefandezze che essi avrebbero compiuto sul suolo di Sicilia una volta sbarcati.
All’epoca e in quei luoghi non c’ero, quindi non so come siano andate veramente le cose e lungi da me il giudicare. E del resto la storia la fanno i vincitori, quindi ho imparato da un pezzo a non credere del tutto a come i luoghi comuni dipingono i fatti passati. In ogni caso, anche se la versione corretta fosse quella di Buttafuoco, resta irritante come dietro le affermazioni si avverta un astio che un buon romanziere avrebbe saputo evitare.
L’inneggiare, poi, alla giustezza, al valore, alla probità della fede eccetera eccetera dei combattenti arabi schierati dalla parte dei tedeschi… ecco, anche questo mi è sembrato leggermente fuori luogo.
Peccato, avrebbe potuto essere un buon romanzo (e tre).
Il Lettore 

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