Quando ti trovi a passeggiare per la sconfinata distesa
di sabbia di quella che fu chiamata Omaha Beach durante la bassa marea,
non puoi impedire che i tuoi pensieri scivolino sulla retorica. Non puoi fare a
meno di immaginare quale apocalisse debba essere stata quella stessa battigia
all’alba del 6 giugno 1944, e puoi
provare solo a ipotizzare la quantità di sangue, sofferenza, tragedia, eroismo
e disperazione di cui è intrisa quella sabbia sulla quale stai camminando.
E sì che la giornata di
agosto è splendida, intorno a te francesi, inglesi e tedeschi stanno facendo il
bagno tutti insieme e ti sembra un controsenso, come il fatto che tu ti stringa
al corpo la giacca a vento con entrambe le braccia perché è un freddo della
madonna e da buon italiano non riesci a capacitarti di come tutta quella gente
riesca a stare a mollo seminuda nella Manica senza congelare. Ma questo con il
libro di oggi non c’entra nulla, l’ho messo solo per sdrammatizzare.
Quest’anno il 6 giugno è
passato in sordina. Del resto era solo il settantunesimo
anno dopo lo sbarco in Normandia, e
la cifra tonda del decennale è passata via l’anno scorso. Ma come ogni inizio
giugno ho ripreso in mano il libro e ne ho sfogliata qualche pagina a caso, a
omaggiarne l’autore e i protagonisti reali lontani nel tempo. Del resto, da
quante volte l’ho letto, lo conosco quasi a memoria. “Mi creda, Lang, le prime ventiquattr’ore dell’invasione saranno
decisive… la sorte della Germania è legata a quelle ore… per gli Alleati, e per
la Germania, sarà il giorno più lungo.” Se qualcuno me lo avesse chiesto,
gli avrei anche saputo rispondere che questa citazione delle parole del
Feldmaresciallo Edwin Rommel dalle
quali è tratto il titolo si trova a pagina 6.
Tra tutti i numerosi trattati
che sono stati scritti sullo sbarco in Normandia ― solo nella mia libreria ce
ne sono quattro, compreso l’esaustivo D-Day
di Stephen E. Ambrose – questo
di Cornelius Ryan è sicuramente il
più piacevole da leggere. La ragione è semplice: senza tralasciare
l’inquadramento storico, gli antefatti e le fasi di preparazione a quella
battaglia annunciata, viste dalla parte di entrambe le forze in gioco, Ryan
racconta la cronistoria degli avvenimenti di tutta la giornata riportando
centinaia di testimonianze dirette che conferiscono umanità a tutto il libro,
consentendo al lettore di potersi immedesimare nei singoli personaggi. Per
raccogliere questi squarci di vita, e di morte, Ryan ci ha messo più di dieci
anni, intervistando migliaia di ex-soldati e civili, tanto che il libro è
uscito solo nel 1959 e subito ne è stato tratto l’omonimo film del 1962, in uno
splendido bianco e nero e con protagonisti una miriade di attori fra i più
famosi dell’epoca.
Dico solo questo: chi non ha
ancora letto questo libro dovrebbe farlo al più presto.
“La nebbia si diradava e l’orizzonte si riempiva di navi, come per
magia, navi di ogni tipo e dimensione, che manovravano tranquillamente avanti e
indietro, come se fossero lì da ore. Sembravano migliaia. Una ‘armada’
spettrale sorta dal nulla. Il respiro corto, impietrito, Pluskat non credeva ai
suoi occhi, più emozionato di quanto fosse mai stato. In quel momento il mondo
del buon soldato Pluskat cominciò a crollare. Ricorda che in quei primi momenti
capì con certezza che ‘era la fine della Germania’. (…) Block chiese: «Dove si
dirigono queste navi?» Col telefono in mano, Pluskat si girò, guardò fuori dal
bunker e rispose: «Diritto su di me.»
Il maggiore Werner Pluskat ebbe la fortuna di
salvare la pelle e di poter raccontare in seguito quei momenti direttamente a
Ryan. È certo comunque che chiunque sia passato per quella che è stata la più
grande operazione militare della storia non può dimenticarsene con facilità.
Già oggi, vedere gli ancora evidenti crateri provocati dalle bombe sulla Pointe
du Hoc, o le pareti interne dei bunker
annerite dai lanciafiamme, o passeggiare tra le sconfinate distese di lapidi
bianche del cimitero di guerra di Colleville sur mer procura
un’emozione struggente. Non puoi fare a meno di pensare che su ogni metro
quadro che calpesti ci ha sofferto e ci è morto qualcuno.
E quando esci con un groppo
in gola dal cimitero americano il pensiero ti si proietta nel futuro ― non
tanto in là, a soli 29 anni da oggi ―, a quel 6 giugno 2044 quando potrà essere
aperta la Scatola del tempo sepolta da Churchill e Eisenhower proprio lì
a Colleville, per la curiosità di sapere che cosa avranno lasciato a
testimonianza di una delle più grandi tragedie dell’umanità.
Speriamo di arrivarci.
Il Lettore
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