martedì 16 giugno 2015

Cena sull’erba, con Giorgio

Ha! Ha! Ha!
Scusate, mi viene da ridere. Ha! Ha! Scusate ancora, ma è che sto pensando all’altro giorno quando il direttore editoriale di ali&no editrice, la casa che ha pubblicato questo romanzo, mi ha detto con un ghigno sardonico: “Voglio proprio vedere che straccio di recensione ne tirerà fuori Freereader!”. Ha! Ha! Forse pensava, il tapino, che non avrei avuto il coraggio di recensire in modo sincero e spassionato l’ultima fatica di uno scrittore che conosco di persona. Un amico intimo, oserei dire.
Be’, se davvero ha pensato così, si è sbagliato di grosso.




Perché la missione vera di un recensore che si rispetti è quella di fornire il proprio parere, soggettivo finché si vuole, sull’oggetto in questione, senza lasciarsi influenzare da conoscenze, parentele, interessi o profferte varie di quelle che assomigliano parecchio alla corruzione. Se di un libro non posso scrivere ciò che ne penso in modo sincero, è semplice, non ne parlo affatto. Di conseguenza, nello stilare le righe che seguiranno cercherò di estraniarmi dalle frequentazioni di tutti i giorni e proverò a valutare questo testo come se lo avessi letto per la prima volta, sforzandomi di dimenticare le decine e decine di sedute in cui l’ho ripassato criticamente e tutti i consigli da editor che ho fornito al suo autore mentre lo stava scrivendo. Giovagnoni chi?
Ma partiamo dalla copertina, accattivante, con quei magnifici riflessi che Giuseppe De Nittis ha saputo infondere nei colori del suo Colazione in giardino; il cui particolare, insieme al titolo, richiama quello che sarà uno dei temi del romanzo: una semplice cena apparecchiata su un prato, con persone delle quali alcune già si conoscono e altre si incontrano per la prima volta, con tutte le dinamiche che ne derivano. La vicenda è narrata in prima persona da uno degli ospiti e una caratteristica che salta all’occhio solo dopo parecchie pagine, e potrebbe anche capitare che qualche lettore non se ne accorga nemmeno dopo che ha terminato il romanzo, è che il protagonista narrante non ha un nome, ad eccezione di una persona nessun altro lo nomina mai, né è minimamente descritto. Ma del resto Daniele Giovagnoni non è nuovo a questo modo di fare: anche il personaggio principale del suo romanzo di esordio, Non nuoce gravemente alla salute, non aveva un nome né è stato mai descritto nel corso di quella narrazione. Potrebbe anche venire in mente che i due protagonisti siano la stessa, enigmatica persona.
E la cena inizia subito nel primo capitolo, dopo una dedica che strappa un sorriso, una localizzazione geografica della contestualizzazione molto sintetica e dopo che i partecipanti si sono presentati tra di loro. E proprio mentre si stanno mangiando gli antipasti, quello che al protagonista sembra un professore di filosofia in pensione, tale Giorgio, comincia a raccontare una storia che si rivelerà a dir poco surreale e andrà a costituire un’ulteriore linea narrativa del romanzo, che dal secondo capitolo è narrata da Giorgio stesso in prima persona (e ciò è sottolineato dall’espediente grafico di un cambio di font per tutta la durata del capitolo, che si avvicenderà nei successivi in modo alternato con quelli in cui è narrata la cena).
Per il lettore, l’interesse nella vicenda è suscitato da questa seconda linea narrativa che si alterna capitolo dopo capitolo alla descrizione della cena stessa, nella quale nel frattempo si susseguono portate che non sfigurerebbero a Masterchef e in cui vengono abbozzati gli approfondimenti delle conoscenze casuali tra i partecipanti, come potrebbe succedere in un qualsiasi incontro fra persone che non si sono mai viste prima. Una delle particolarità che l’autore ha riservato per il Lettore Ideale è costituita dal fatto che il tempo che ci vuole per leggere il romanzo è praticamente uguale a quello in cui si svolge la vicenda principale, cioè il tempo della fabula è uguale al tempo della lettura, e questi sono entrambi diversi dal tempo della fabula della seconda linea narrativa. Inoltre, le metonimie ricorrenti sulle quali il lettore lì per lì non ha motivo di soffermarsi (e così dev’essere…), vengono poi rammentate e comprese all’accadere del colpo di scena finale, una sola pagina prima della conclusione.
Un altro particolare degno di nota è la doppia circolarità concentrica di incipit ed excipit: la dedica che precede il romanzo viene ripresa nell’ultima riga della postfazione, e il paragrafo iniziale del primo capitolo, che un po’ toglie il fiato per la completa assenza di segni interpuntivi nell’arco di ben sette righe, viene ribattuto in modo simile e rovesciato nel paragrafo finale (si vede che l’autore è rimasto colpito da Per chi suona la campana).
Un romanzo strano, particolare, redatto con un linguaggio semplice e uno stile fluido e scorrevole, con poco spazio dedicato alle descrizioni o agli stati d’animo che emergono dagli atteggiamenti e dalle azioni dei personaggi, in un buon esempio di scrittura ellittica. Una narrazione dalla quale non riesci a staccarti prima di essere arrivato alla fine. E un vero e proprio racconto a sé stante è costituito dalla stessa postfazione, nella quale l’autore racconta la genesi e le traversie di questo libro.
Se si volessero proprio muovere delle critiche, a parte la relativa brevità (ma del resto ormai ci si è abituati ai romanzetti brevi di Erri De Luca…), si potrebbe riscontrare che alcuni dei personaggi non risultano caratterizzati a sufficienza, quanto meno quel tanto che basta per farli permanere nella memoria a lungo termine (ma ce n’è bisogno davvero?), e il cinismo del principale io narrante potrebbe risultare alle volte un tantino antipatico.   
Come editor ho apprezzato il fatto di come l’autore abbia saputo tradurre in pratica la maggior parte dei miei consigli e anche quelli di altre persone che hanno letto il testo nel suo stato embrionale (mi ha rivelato che un ringraziamento particolare lo rivolge a Max B., che a suo tempo ha mandato preziosi suggerimenti da molto lontano…), mentre un motivo di rammarico personale (come sempre!) consiste nel non aver visto, ancora una volta, la scritta “editing by Freereader” nel colophon.
Ma si sa, di questo si deve incolpare sempre l’Editore.
Il Lettore

2 commenti:

  1. Be', molto lontano, un cicinin dai. Sul fatto che sia curiosissimo di rileggerlo non ci piove, anche se qui oggi..., che gran parte del miglioramento del testo sarà giustamente opera meritoria di quell'anonimo editor, che chi ha scelto quella stupenda copertina è un giusto della miseria. Facciamo così, bravi tutti nessuno escluso.

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  2. non vedo l'ora di leggerlo....e sono felice di aver contribuito seppur lontanamente alla scelta di de Nittis
    laura

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