martedì 24 marzo 2015

L’uomo di neve

Nel corso di una conversazione con un’amica era venuto fuori che a lei piaceva molto questo Jo Nesbø, del quale avevo sentito parlare ma non avevo mai letto nulla di suo. Sapevo che aveva scritto una serie di thriller che avevano riscosso un certo successo e questo, insieme alla curiosità scatenata in me dai commenti della mia amica (non so resistere quando mi consigliano un autore, è più forte di me…), mi ha portato ad accattare il primo Nesbø che mi è capitato sotto mano.


Tra i problemi grossi dei romanzi scandinavi, come mi pare di avere già scritto da qualche altra parte, ci sono questi cazzo di nomi propri che non riesci né a leggere né tantomeno a farti entrare nella memoria sia pure a breve termine: Kvinesland, Ottersen, Borghild, Trygve, Ǿistein, Seilduksgata, Lossius, Nesoddtangen, e fai una fatica bestia sia a pronunciarli fra te e te che a ricordare che ruolo abbiano all’interno della narrazione o se siano il nome di un personaggio o di una città. Ma quel furbino dell’autore, che con tutta probabilità è a conoscenza di questa difficoltà che affligge i non-norvegesi, al protagonista seriale dei suoi romanzi ha messo un nome inglese: Harry Hole, semplice, corto e facile da ricordare. Chiamalo stupido.
Questo L’uomo di neve è costruito più con la tecnica che con il cuore, sulla falsa riga di un maestro del “sopra le righe” come Jeffrey Deaver. Il protagonista è studiato a tavolino: un poliziotto che spicca per intelligenza, prestanza fisica e interesse, ma è notevolmente sfigato e con un mucchio di problemi personali che non hanno altro scopo che intenerire il lettore e renderlo partecipe delle angosce di Harry Hole, per farlo affezionare a lui e quindi fargli comprare tutta la serie di romanzi.
L’antagonista di Harry è un serial killer intelligentissimo, di una crudeltà veramente fuori dal comune, un genio che non si fa mai vedere, che è sempre nel posto giusto al momento giusto, sempre un passo avanti a tutti altri; è straordinario come risulti sempre invisibile ma riesca ogni volta a costruire dei pupazzi di neve nei luoghi dei suoi delitti senza lasciare la minima traccia e senza essere visto da nessuno. Non è solo un efferato assassino, è Mandrake stesso.
Che poi con tutta questa genialità alla fine lo beccano comunque.
Questo gruppo di autori scandinavi che si sono dedicati al thriller, e che da qualche anno stanno scalando le vette delle classifiche librarie, sembra abbiano studiato a fondo le tecniche messe a punto dai giallisti americani più esagerati e meno credibili: delitti perpetrati nei modi più orribili e immaginifici, continui colpi di scena, reiterate apparizioni di indizi fuorvianti, individuazione di colpevoli che non si rivelano tali, insistente inserimento di brevi scene colme di atmosfere preoccupanti indirizzate a far lievitare nel lettore uno stato di angoscia (un po’ come nei film di Alfred Hitchcock, quando si apre lentamente la porta accompagnata da una musichetta subdola, tu ti aspetti la comparsa dell’assassino e invece entra il gatto), crescendo di tensione e apoteosi finale. Senza dimenticare l’inclusione qua e là di brevi pizzichi di situazioni erotiche che non ci stanno mai male.
Jo Nesbø riesce abbastanza bene ad amalgamare tutto ciò, sicuramente meglio di quella docente di narcolessia che è Camilla Läckberg, e costruisce un romanzo tutto sommato leggibile, ma alla fine la sensazione è quella che abbia veramente esagerato nei toni e nelle motivazioni relegando la plausibilità della storia tra le cose per lui meno importanti. D’accordo fare colpo, ma quando è troppo è troppo. Peccato che non possa scendere nei particolari, avrei voluto raccontarvi la scena finale del romanzo per farvi capire a quali vette di esagerazione è asceso l’autore: proprio non sta né in cielo né in terra, né è minimamente credibile da un punto di vista realistico.
A parte il fatto che, ad onta delle reiterate false piste o forse proprio per questo, già da prima della metà del romanzo avevo capito chi tra i personaggi fosse il serial killer.
Vabbè. Laura, non te ne dispiacere, ma il consiglio di lettura che mi hai elargito non mi è piaciuto proprio. Ritenta ancora, forse sarò più fortunato…
Il Lettore (ancora una volta insoddisfatto)

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