martedì 3 marzo 2015

La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria

Anche se vi sembrasse di non aver mai letto Aldo Busi in vita vostra è possibile invece che abbiate letto qualcuno dei suoi libri senza esserne consapevoli, dal momento che una delle sue attività è quella del ghostwriter, e molti romanzi conosciuti e pubblicati con nomi che sono diventati famosi in realtà li ha scritti lui. Potrei anche citarvi gli autori fittizi e alcuni titoli, ma non lo farò perché non sarei sicurissimo di affermazioni delle quali non ho prove provate e, di solito, se non sono più che certo di una cosa preferisco stare zitto.




Sta di fatto che Busi ha spesso scritto per altri, e magari qualche opera edita con un altro nome ha ottenuto anche più successo di quelle che ha pubblicato con il proprio.
Personalmente lo considero un Grande: un personaggio, un uomo che sa parlare e che sa scrivere, e che sa sostenere le sue convinzioni mettendo in campo una cultura rimarchevole. Al di là delle apparenze a volte scostanti e degli attacchi ricevuti da altri personaggi che lasciamo perdere.
Che sappia scrivere si vede anche da questo lungo monologo in forma di flusso di coscienza, nel quale l’io narrante, identificabile con lo stesso Busi, ripercorre i suoi ricordi di ragazzo tratteggiando le conoscenze di un’epoca che non è più, da La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria agli insegnanti che ha avuto a scuola, insieme a bidelli, direttori didattici eccetera, e nello stesso tempo racconta sia di passioni adolescenziali che di un mondo trasformatosi (in peggio? In meglio?).
Lo stile: la sintassi è superba, sublime l’uso del linguaggio, maniacalmente precisa la punteggiatura, veramente ammirevole la ricerca della terminologia, che gli viene tanto bene da non sembrare abbia fatto una ricerca quanto che i vocaboli gli siano venuti uno dopo l’altro tutti in modo naturale. Stupiscono i periodi chilometrici in cui i segni d’interpunzione sono messi tutti al posto giusto consentendo un’adeguata respirazione, e la fantasia galoppante con cui ha colorato i propri ricordi.
Se volete imparare qualcosa su come si scrive in italiano leggete Busi, non scherzo.
D’altra parte…
Il problema è che già prima di arrivare a pagina venti, delle complessive settanta, di questo martellante monologo ne hai le balle piene, e continuare a leggere per poter dire a te stesso “ma guarda tu quanto è bravo questo a scrivere così che invidia…” equivarrebbe a continuare a martellarsi i coglioni con una mazza da cinque chili per cercare vanamente di sgonfiarli.
Parlando seriamente, ammiro davvero la bravura di Busi, ma ciò che mi è venuto a mancare è l’interesse. In me, il gossip, per quanto piccante, intessuto su ricordi personali non ha smosso nessuna leva, e i personaggi di cui parla l’io narrante in questo flusso di coscienza non hanno suscitato nessuna curiosità tanto da farmi abbandonare il libretto prima della metà. Problema mio, lo riconosco, non intendo togliere meriti a un libro che altre recensioni hanno invece trovato delizioso, né ad un autore di quelli bravi.
Tanto che a leggere un altro dei tanti libri firmati da Aldo Busi ci riproverò senz’altro, mica tutte le cose che ha scritto saranno come questa.
Il Lettore refrattario 

Nessun commento:

Posta un commento