Libro consigliatomi da un
amico dicendomi che lo rilegge
almeno una volta all’anno.
Ad un’affermazione così io
non so resistere: me lo sono fatto cercare subito dal mio hacker di fiducia e il giorno dopo avevo almeno sei o sette romanzi
di Jean Claude Izzo sul mio e-reader, compreso questo Il sole dei morenti.
Ma poi ci sono rimasto male:
l’amico non mi aveva precisato come il romanzo fosse di una tristezza infinita. Bello, sì, ma
proprio quel che occorrerebbe ad una persona depressa per decidersi a saltare
l’ultimo gradino.
Rico è un clochard
che vive a Parigi. Un barbone, un homeless,
un senzatetto che vive di quello che trova tra i bidoni della spazzatura e
dorme dove capita. Quando il suo amico Titì
muore di freddo, Rico decide che Parigi non fa più per lui e decide di andare a
Marsiglia in cerca di un po’ di sole.
In realtà il narratore
interno alla storia è Abdou, un
adolescente algerino con il viso sfregiato da ustioni che vagabonda per
Marsiglia insieme al suo amico Zineb,
ma questo si scopre solo a tre quarti del romanzo, quando Rico è già arrivato a
Marsiglia dopo diverse vicissitudini. È Abdou
che racconta di Rico e di ciò che ha
passato, del perché si è ridotto a vivere per strada dopo essere stato
abbandonato dalla moglie e aver perso il lavoro, e di tutto ciò che gli è
successo a corollario, dalla sequela di incontri con le persone sbagliate ai
pochissimi che lo trattano con un minimo di quel rispetto che è dovuto a
qualsiasi uomo di qualsivoglia estrazione sociale.
“Sai, il fatto che... Vivi tranquillo, con tua moglie, tuo figlio. E poi
un bel giorno tua moglie ti abbandona. Ti ritrovi da solo. Credi che sia la
fine del mondo, eccetera...”
Le vicende dei protagonisti
si dipanano con uno stile molto
asciutto, crudo, senza concessioni ad abbellimenti di qualsiasi tipo, il che lo
rende un romanzo molto veloce da leggere.
Mi fermo
qui. Non voglio cadere nella
retorica finendo col parlare del fenomeno
sociale dei senzatetto in generale, perché in fondo il libro non è altro che un’incitazione
a vederli come esseri umani, magari più sfortunati di altri e con più occasioni
di altri di trovarsi ad avere a che fare con persone e situazioni molto poco
politicamente corrette, per usare un eufemismo, ma la cosa tragica è che potrebbe
capitare a tutti, prima o poi, se si è sfortunati, di arrivare a trovarsi nelle
stesse condizioni dei protagonisti, ed è proprio per questo che se uno ci pensa,
arriva anche a commuoversi, per i destini
infelici che l’autore riserva loro.
Mi ripeto: buon libro, scritto
bene, ma tristissimo e dall’argomento
toccante. Capisco anche come possa essere di ispirazione per una riflessione
più approfondita, ma forse anche proprio perché ne sono stato toccato, personalmente
non lo rileggerei di nuovo.
Il Lettore
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