mercoledì 10 ottobre 2018

Il sole dei morenti


Libro consigliatomi da un amico dicendomi che lo rilegge almeno una volta all’anno.
Ad un’affermazione così io non so resistere: me lo sono fatto cercare subito dal mio hacker di fiducia e il giorno dopo avevo almeno sei o sette romanzi di Jean Claude Izzo sul mio e-reader, compreso questo Il sole dei morenti.
Ma poi ci sono rimasto male: l’amico non mi aveva precisato come il romanzo fosse di una tristezza infinita. Bello, sì, ma proprio quel che occorrerebbe ad una persona depressa per decidersi a saltare l’ultimo gradino.



Rico è un clochard che vive a Parigi. Un barbone, un homeless, un senzatetto che vive di quello che trova tra i bidoni della spazzatura e dorme dove capita. Quando il suo amico Titì muore di freddo, Rico decide che Parigi non fa più per lui e decide di andare a Marsiglia in cerca di un po’ di sole.
In realtà il narratore interno alla storia è Abdou, un adolescente algerino con il viso sfregiato da ustioni che vagabonda per Marsiglia insieme al suo amico Zineb, ma questo si scopre solo a tre quarti del romanzo, quando Rico è già arrivato a Marsiglia dopo diverse vicissitudini. È Abdou che racconta di Rico e di ciò che ha passato, del perché si è ridotto a vivere per strada dopo essere stato abbandonato dalla moglie e aver perso il lavoro, e di tutto ciò che gli è successo a corollario, dalla sequela di incontri con le persone sbagliate ai pochissimi che lo trattano con un minimo di quel rispetto che è dovuto a qualsiasi uomo di qualsivoglia estrazione sociale.
Sai, il fatto che... Vivi tranquillo, con tua moglie, tuo figlio. E poi un bel giorno tua moglie ti abbandona. Ti ritrovi da solo. Credi che sia la fine del mondo, eccetera...”
Le vicende dei protagonisti si dipanano con uno stile molto asciutto, crudo, senza concessioni ad abbellimenti di qualsiasi tipo, il che lo rende un romanzo molto veloce da leggere.
Mi fermo qui. Non voglio cadere nella retorica finendo col parlare del fenomeno sociale dei senzatetto in generale, perché in fondo il libro non è altro che un’incitazione a vederli come esseri umani, magari più sfortunati di altri e con più occasioni di altri di trovarsi ad avere a che fare con persone e situazioni molto poco politicamente corrette, per usare un eufemismo, ma la cosa tragica è che potrebbe capitare a tutti, prima o poi, se si è sfortunati, di arrivare a trovarsi nelle stesse condizioni dei protagonisti, ed è proprio per questo che se uno ci pensa, arriva anche a commuoversi, per i destini infelici che l’autore riserva loro.
Mi ripeto: buon libro, scritto bene, ma tristissimo e dall’argomento toccante. Capisco anche come possa essere di ispirazione per una riflessione più approfondita, ma forse anche proprio perché ne sono stato toccato, personalmente non lo rileggerei di nuovo.
Il Lettore 



Nessun commento:

Posta un commento