giovedì 4 ottobre 2018

Il fosso bianco


Al termine della sua “scappata” a Perugia, Massimo Bertarelli mi ha fatto dono di una copia del suo primo romanzo pubblicato, Il fosso bianco, appunto, edito ancora prima di Mi chiamo Ugo e che per ovvi motivi non avevo ancora letto.
Nel regalarmelo ha tenuto ad avvertirmi che non l’avrei trovato allo stesso livello degli altri, quasi a giustificarsi in anticipo per quello che di negativo avrei potuto scriverci sopra in questo blog.
Tranquillo, Massimo, anche se dovessi stroncarlo ti voglio bene lo stesso. Ma, nel caso, tu manterrai ancora la stima che provi per me?



Che poi in effetti non merita proprio di essere stroncato, anche se devo ammettere in tutta sincerità che non mi è piaciuto del tutto come i successivi, non mi ha soddisfatto in pieno.
Purtroppo su queste pagine non posso nemmeno specificarne il perché, dal momento che equivarrebbe a rivelarne il finale, e sapete che io ho sempre evitato di fare degli spoiler. Dirò solo, in generale, che l’appunto principale riguarda l’ultima sezione, che mi è sembrata un po’ troppo affrettata, non preparata a sufficienza nella linea temporale del romanzo, in qualche maniera avrebbe dovuto essere anticipata. Magari con qualche metonimìa nelle prime pagine.
Inoltre (dico subito tutte le cose negative che ci ho trovato così posso passare a quelle positive), un’altra cosa che ho trovato di non mio gradimento è stata l’inneggiare alle bellezze di una zona della Toscana (ed altro) con un tono un po’ troppo entusiastico, che in un romanzo risulta sempre sopra le righe. D’altra parte è assolutamente vero, lo confermo, ma si sente che l’autore nello scrivere si è lasciato trascinare dall’esaltazione che quei luoghi gli avevano innescato dentro. Parere del tutto soggettivo: personalmente sono più portato per un understatement britannico che per l’eccitazione propria di noi italiani.
Basta con le critiche. Per il resto ho ritrovato lo stile pulito del Bertarelli che già conoscevo: una scrittura semplice, chiara ed esaustiva pienamente godibile, magari condita da qualche piccola ingenuità dovuta all’inesperienza dello scrittore al primo tentativo di romanzo lungo, ingenuità che nelle sue opere posteriori non si ritrovano più. In questo campo più che in altri l’esperienza acquisita man mano è di fondamentale importanza.
Posso anche dire che in qualche punto mi ha perfino commosso, il ché è tutto dire.
Aspettiamo il prossimo!
Il Lettore 



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