Buongiorno a tutti, buon Natale, buon Capodanno,
buone Feste eccetera eccetera. Pieghiamoci a queste anacronistiche convenzioni,
facciamoci gli auguri e facciamo finta che vada tutto bene. Del resto anche il
nostro premier non si esime dal
ricordarci in ogni telegiornale che la situazione è buona, siamo usciti dalla
crisi, l’occupazione è in aumento e pensate positivo.
Ma dove? Ma che film ha visto?
Capisco come il dire “siamo
alla frutta” da parte di un primo ministro possa essere un pochino
demoralizzante, ma per lo meno stai zitto che fai più bella figura.
In realtà questo non vuole
essere un consuntivo del blog come ho già fatto in un paio di
occasioni: non ho nessuna voglia di andare a ripescare nel già pubblicato per
ricavarne delle statistiche. Mi sono accorto però che questo che state leggendo
è il seicentesimo (udite udite: 600!) post che ho elargito all’etere, e mi è venuto spontaneo fare
qualche considerazione.
Chi mi segue dall’inizio,
vale a dire da quattro anni e mezzo a questa parte, si è letto più o meno 1300 pagine di recensioni ed
esternazioni varie del sottoscritto, cioè tante da farne ben più di un più che
corposo romanzo del quale tanto, se avessi scritto quello, non chiamandomi
Bruno Vespa e non essendo amico di Fabio Fazio, non sarebbe fregato un cazzo a
nessuno.
Perché oggi va così: se non
sei amico di qualcuno importante i tuoi libri cadono subito nel dimenticatoio.
Contano più le tue amicizie, importanti, s’intende, che la tua capacità di
scrittura, la tua bravura. Viviamo in un’epoca in cui impera la mediocrità, prospera il dilettantismo e domina l’ipocrisia; in cui sono poche le persone
che sono in grado di dare un giudizio vero
su una qualsiasi opera e di quelle viene tenuto conto e non di coloro che berciano più forte o sono già
conosciuti magari per tutt’altre ragioni. Tra le quali non rientra il saper
giudicare se una cosa è bella o brutta. Oggi chiunque, per il fatto che si è
impegnato cinque minuti in una qualsiasi creazione, pretende che gli venga riconosciuto il (presunto) valore di ciò che
ha fatto, e ovviamente non ha neanche la capacità di valutarselo da solo.
Dannoso per tutti, ma soprattutto per il protagonista.
Un esempio terra terra: ho
amiche le cui “poesie” vengono osannate su faccialibro da stormi di galline
starnazzanti che ne vengono tanto colpite da strapparsi i capelli e innalzare
la “poetessa” di turno al rango di un dio. Quando in realtà ciò che la
“poetessa” scrive non sono altro che quattro parole messe insieme liberamente perché
“suonano” bene senza rispettare il minimo criterio di appartenenza alla
categoria della poesia. Il problema
di queste lodi indiscriminate è poi che la ”poetessa” di turno crede davvero di
essere brava e continua, insiste, persevera, si autocompiace per meriti
infondati, fino a perdere la capacità di migliorarsi perché non sa più
distinguere i giudizi veri da quelli
del pollaio e anzi, l’incombente saccenteria la porta a non prendere in
considerazione a priori i giudizi negativi sulle sue poesie. Che invece non
potrebbero farle altro che bene. Fra parentesi, ogni riferimento a persone
realmente esistenti, qualora qualcuno ve ne riscontrasse, è puramente
intenzionale.
Bah. La pianto qui, perché mi sto accorgendo che il contenuto di questo seicentesimo post sta diventando deprimente, e dal momento che in questi giorni
sto leggendo due libri che rappresentano il non
plus ultra della depressione (sia pure in tematiche del tutto differenti fra
loro), so già che anche le prossime pubblicazioni non porteranno ventate di allegria su questo blog.
Speriamo meglio nel settecentesimo.
Freereader
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