lunedì 11 dicembre 2017

Maigret e il signor Charles

Facciamo un salto temporale in avanti di quarant’anni e piombiamo nel bel mezzo del 1972.
Richard Nixon si è appena dimesso; gli inglesi ammazzano tranquillamente i manifestanti irlandesi; non abbiamo ancora la benché minima premonizione dell’imminente uscita di The Dark Side of The Moon, ma per molte persone Nursery Crime ha già costituito e rimarrà per sempre una tappa fondamentale nella musica contemporanea. Mi fermo qui, tranquilli.
Nel 1972 Georges Simenon decide che si è stufato di scrivere, pubblica questo Maigret e il signor Charles e posa la matita in modo definitivo. Da lì alla data della sua morte si limiterà a dettare su nastro magnetico poche altre cose. Dopo più di 200 libri e dopo essere diventato ricco e famoso, resta difficile poter criticare una scelta di questo genere.
A parte il fatto che si sarebbe stufato chiunque, dopo aver utilizzato 75 volte lo stesso protagonista.




Se il primo libro con Maigret non mi era piaciuto (vedi), in questo ho trovato una differenza sostanziale. Sembra che siano stati scritti da due autori diversi. Lo stile è sempre asciutto, senza quegli estetismi letterari che sembrano tanto fichi a chi vuole vincere qualche premio, ma le frasi si susseguono in costruzioni meglio architettate e più coerenti. Quanto contano quarant’anni d’esperienza! Sembra che Simenon si sia reso conto che anche il Lettore ha qualche esigenza e si sia piegato ad accontentarlo.
La lettura è molto più piacevole, fluente e senza intoppi né di ritmo né di interpretazione, e questo romanzo fa veramente piacere leggerlo. Ben caratterizzati protagonisti e comprimari, e anche l’uso delle ellissi è sufficientemente intuitivo da non lasciare dubbi irrisolti. 
La consequenzialità nella trama è chiara e soddisfacente, e finalmente ho apprezzato il modo di condurre le indagini di Maigret, attento e pignolo, e la sua estraneità sia alla burocrazia che agli ambienti politici e sociali di facciata: in quest’ultimo appuntamento gli viene addirittura proposto di assumere la direzione dell’intero corpo di polizia parigino, di diventare il Capo in testa, e lui rifiuta tranquillamente preferendo continuare a impartire ordini pratici ai suoi sottoposti e ad aver a che fare con lo squisito bollito di sua moglie.
A differenza dell’altro che ho letto in questi giorni, questo romanzo mi è piaciuto. Ma non del tutto: non mi è andato giù il finale, con l’assassino che spiattella tutto agli inquirenti appena viene scoperto nel più puro stile dei telefilm di Jessica Fletcher (che peraltro Simenon non poteva conoscere perché era ancora di là da venire).
Va be’, dai, qualche difetto ce lo dovevo trovare. Fatto sta che a differenza di tanti altri protagonisti seriali, Maigret non mi ha mai affascinato, fin da quei primi romanzi che ho letto tanti anni fa, e continua a rimanermi indifferente. Per quanto io sia rimasto incantato da Parigi, il suo commissario più famoso non mi ha mai preso. Problema mio, da parte sua Georges Simenon ce l’ha messa tutta e l’esperienza di quarant’anni di scrittura si sente eccome.
Di sicuro, ai romanzi con Maigret continuo a preferire l’interpretazione che ne ha dato Gino Cervi.
Il Lettore 

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