Facciamo un salto temporale in avanti di quarant’anni e piombiamo nel bel
mezzo del 1972.
Richard
Nixon si è appena dimesso;
gli inglesi ammazzano
tranquillamente i manifestanti irlandesi; non abbiamo ancora la benché minima
premonizione dell’imminente uscita di The
Dark Side of The Moon, ma per molte persone Nursery Crime ha già costituito e rimarrà per sempre una tappa
fondamentale nella musica contemporanea. Mi fermo qui, tranquilli.
Nel 1972 Georges Simenon decide che si è stufato di scrivere, pubblica questo Maigret
e il signor Charles e posa la matita in modo definitivo. Da lì alla data
della sua morte si limiterà a dettare
su nastro magnetico poche altre cose. Dopo più di 200 libri e dopo essere diventato ricco e famoso, resta difficile
poter criticare una scelta di questo genere.
A parte il fatto che si
sarebbe stufato chiunque, dopo aver utilizzato 75 volte lo stesso protagonista.
Se il primo libro con Maigret
non mi era piaciuto (vedi), in questo ho trovato una differenza sostanziale. Sembra che siano stati scritti da due autori diversi.
Lo stile è sempre asciutto, senza quegli
estetismi letterari che sembrano tanto fichi a chi vuole vincere qualche premio,
ma le frasi si susseguono in costruzioni meglio architettate e più coerenti.
Quanto contano quarant’anni d’esperienza! Sembra che Simenon si sia reso conto
che anche il Lettore ha qualche esigenza e si sia piegato ad accontentarlo.
La lettura è molto più
piacevole, fluente e senza intoppi né di ritmo né di interpretazione, e questo romanzo
fa veramente piacere leggerlo. Ben caratterizzati protagonisti e comprimari, e
anche l’uso delle ellissi è sufficientemente intuitivo da non lasciare dubbi irrisolti.
La consequenzialità nella
trama è chiara e soddisfacente, e finalmente ho apprezzato il modo di condurre le indagini di Maigret, attento e
pignolo, e la sua estraneità sia alla burocrazia che agli ambienti politici e
sociali di facciata: in quest’ultimo appuntamento gli viene addirittura proposto
di assumere la direzione dell’intero corpo di polizia parigino, di diventare il
Capo in testa, e lui rifiuta
tranquillamente preferendo continuare a impartire ordini pratici ai suoi sottoposti e ad aver a che fare con lo squisito bollito di sua moglie.
A differenza dell’altro che
ho letto in questi giorni, questo romanzo mi è piaciuto. Ma non del tutto: non
mi è andato giù il finale, con l’assassino che spiattella tutto agli inquirenti
appena viene scoperto nel più puro stile dei telefilm di Jessica Fletcher
(che peraltro Simenon non poteva conoscere perché era ancora di là da venire).
Va be’, dai, qualche difetto
ce lo dovevo trovare. Fatto sta che a differenza di tanti altri protagonisti
seriali, Maigret non mi ha mai
affascinato, fin da quei primi romanzi che ho letto tanti anni fa, e continua a
rimanermi indifferente. Per quanto io sia rimasto incantato da Parigi, il suo commissario più famoso
non mi ha mai preso. Problema mio, da parte sua Georges Simenon ce l’ha messa tutta e l’esperienza di quarant’anni di
scrittura si sente eccome.
Di sicuro, ai romanzi con Maigret continuo a preferire l’interpretazione
che ne ha dato Gino Cervi.
Il Lettore
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