Leggendo quest’altro romanzo
di Marco Presta scordatevi pure
tutte le risate che avete fatto con Un calcio in bocca fa miracoli. O per meglio dire, non è che Presta non ci
provi a farci ridere, lui ci prova anche con la consueta ironia che gli è
propria, ma un po’ per i contenuti, un po’ per l’odierna situazione sociale,
non è che gli sia riuscito molto bene.
L’accoppiata tra “contenuti
del libro” e “odierna situazione sociale” è quello che rende questo romanzo insopportabilmente
deprimente. Perché l’autore
fotografa senza sconti una situazione troppo comune e reale.
Lorenzo è un geometra trentaduenne che non riesce
a trovare un impiego serio e sopravvive con lavoretti saltuari e pure umilianti,
come fare la statua vivente di un Faraone
in piazza per racimolare qualche spicciolo, ed è circondato da un gruppo di
amici sfigati ognuno dei quali ha le proprie beghe da risolvere. Vive ancora
con la madre vedova ed è troppo timido per dichiararsi alla donna della quale
si è innamorato.
Il romanzo è tutto qui: l’istantanea
di una vita senza ideali, senza prospettive, condotta tra lo squallore del non
avere una lira e la patologica mancanza di speranze concrete per il futuro. Oddio,
non è che Marco Presta non tenti di
renderlo interessante (per quanto possa esserlo una vita in cui non succede
nulla di eccitante): lui ci prova anche a essere ironico, con uno stile narrativo
pulito e senza fronzoli e con battute che potrebbero strappare un sorrisetto, ma
sono proprio le circostanze contingenti a renderlo triste e in fin dei conti abbastanza noioso.
Nessuno si entusiasma
leggendo di cose che vede continuamente intorno a sé e con le quali è costretto
a convivere.
Fossero allegre, poi.
Il Lettore
Presta, Lettore
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