sabato 1 aprile 2017

Il mondo è un teatro

Tra tutti i pezzi da novanta della letteratura mondiale, William Shakespeare è paradossalmente uno di quelli sui quali è stato scritto di più, ma allo stesso tempo è quello sul quale di certo si sa di meno, tanto da far dubitare ad alcuni che sia mai esistito realmente come persona fisica.




Questo dato di fatto è ciò su cui è andato a indagare Bill Bryson, il divertente autore statunitense diventato famoso per i suoi libri di viaggio e soprattutto per  Una passeggiata tra i boschi, nel quale ripercorre in modo esilarante quella scarpinata di 3500 chilometri  dell’Appalachian trail.
Oltre alle migliaia di già pubblicati, ci dice lo stesso autore, “la fonte bibliografica più esauriente registra circa 4000 nuovi, seri lavori [su Shakespeare] (libri, monografie, altri studi) ogni anno. Per rispondere ora a una domanda ovvia, questo libro è stato scritto non tanto perché il mondo avesse bisogno di un altro libro su Shakespeare, quanto perché ne aveva bisogno il mio Editore. L’idea è semplice: vedere cosa possiamo sapere, sapere per davvero, di Shakespeare grazie ai dati in nostro possesso. Il che, ovviamente, è uno dei motivi della snellezza di questo volume.
E questo perché di colui denominato Il Bardo, altrimenti detto “il poeta gay più sublime della storia della letteratura inglese”, non si sa nulla per certo, esistono pochissimi documenti ufficiali che parlano di lui, vi sono interi decenni della sua vita senza che ne venga reperita traccia in ogni dove, per non parlare dell’assenza pressoché completa di manoscritti vergati di suo pugno.  Lo stesso  ritratto che vedete nella copertina di cui sopra, insieme ai due soli altri esistenti al mondo, nessuno ha la certezza che siano realmente di William Shakespeare.
Bryson si lancia (tanto per restare in tema…) così alla ricerca di dati documentati su Shakespeare, e quello che trova è ben poco, e quel poco lo riporta in questo scarno libretto dal sottotitolo La vita e l’epoca di William Shakespeare (del resto per far contento l’editore doveva pure scriverci qualcosa).
Ne approfitta quindi, come suo solito, per fare un excursus sull’Inghilterra dell’epoca, sulla storia e sulle condizioni sociali a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, sulla politica, sull’urbanistica di Londra e sullo stato dell’arte del teatro, sulle abitudini alimentari di nobili e popolani e sulle lotte religiose, farcendo il libro di fatti curiosi e cognizioni interessanti, oltre che parlare della produzione del “nostro”, dei suoi rapporti con le compagnie teatrali e con gli altri autori, ma di queste ultime cose più che altro per sentito dire.
Il tutto condito, ovviamente, dall’ironia che caratterizza lo scrittore e dai dubbi personali che nel corso della ricerca sono emersi dentro di lui, fino a fargli riportare anche i sospetti e le critiche che la “Shakespearologia” ha provocato anche in altri studiosi. “Shakespeare era un magnifico raccontatore di storie, a patto che qualcuno le avesse già scritte prima” dice parafrasando George Bernard Shaw, al che Stanley Wells ribatte “Shakespeare rubava battute «quasi meccanicamente»”, intendendo ridurre di un poco la grandezza del Bardo nella capacità di creare motu proprio.
Anche dopo questo sfoggio di cultura e capacità investigativa, però, la nostra conoscenza documentata di W.S. rimane pressoché nulla. Ma resta curioso in modo piacevole il venire a sapere, un esempio tra i tanti, che di Shakespeare esistono al mondo solo sei firme autografe, delle quali ben tre, quelle vergate sul suo testamento, con tutta probabilità non sono scritte di sua mano per la sopravvenuta (e anche questa solo presunta) incapacità di muoversi in punto di morte.
Il Lettore 

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