Con questo romanzo John Le Carrè ha voluto fornire
l’ennesima dimostrazione della sua grande capacità di scrivere storie in uno
stile estremamente ellittico, attraverso il quale entri in continuazione in
vicende senza al momento sapere dove sei, chi sono i protagonisti e dove
l’autore vuole condurti, e ti gusti la sua narrazione fino a che d’improvviso
ti si chiarisce tutto e ti ritrovi coinvolto in una tensione tale da non
poterne più uscire.
E questo succede ad ogni
capitolo.
Prendiamo per esempio le
primissime pagine: Le Carrè non descrive mai l’attentato terroristico dal quale
parte la vicenda. Tu lettore cominci a leggere delle sue conseguenze, di particolari inerenti il fatto, di persone che ne
parlano, di supposizioni e corsi di indagine, e ti aspetti che l’autore prima o
poi lo descriva: bene, lui non lo fa, ma alla fine tu ti ritrovi a conoscerlo come
se lo avesse fatto.
I personaggi sono
enigmatici, effimeri come gli pseudonimi che cambiano continuamente: nel
leggere bisogna porre attenzione, bisogna stare concentrati per individuare
quei riferimenti fuggevoli che marcano i protagonisti, ma se ci riesci emergono
delle personalità difficili da dimenticare. Con continui passaggi psicologici,
dal bene al male e viceversa, identità politiche che si modificano, che si
trasformano, nessuno appare alla fine come il buono o il cattivo
riconosciuto, e in una tragedia internazionale come il conflitto tra israeliani
e palestinesi Le Carrè riesce a trovare una giustificazione per quasi tutti i comportamenti
personali, per quanto crudi possano sembrare.
L’esperienza di Le Carrè
(che in realtà è uno pseudonimo, il suo vero nome è David John Moore Cornwell) come membro del SIS, il servizio segreto
inglese che diventerà poi l’MI6, emerge nel saper descrivere tecniche e
rapporti tra agenti del controspionaggio, nonché le ambiguità di cui è satura
la politica internazionale, ma quello che impressiona è la sua capacità di
saper rendere una situazione accennando ad un solo particolare.
Non è un libro facile, lo
ammetto, richiede un certo impegno, ma a me è piaciuto molto di più de La talpa o Il giardiniere tenace.
Il film del 1984 che ne è
stato tratto, con protagonista Diane
Keaton nella parte di Charlie,
sembra che non abbia riscosso lo stesso successo del libro, vuoi per i 37 anni
(all’epoca) della Keaton chiamata a recitare la parte di una venticinquenne,
vuoi perché cast e regista non sono riusciti a rendere quell’approfondimento
psicologico che costituisce una delle colonne portanti del romanzo.
Il Lettore
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