mercoledì 7 maggio 2014

La Tamburina

Con questo romanzo John Le Carrè ha voluto fornire l’ennesima dimostrazione della sua grande capacità di scrivere storie in uno stile estremamente ellittico, attraverso il quale entri in continuazione in vicende senza al momento sapere dove sei, chi sono i protagonisti e dove l’autore vuole condurti, e ti gusti la sua narrazione fino a che d’improvviso ti si chiarisce tutto e ti ritrovi coinvolto in una tensione tale da non poterne più uscire.
E questo succede ad ogni capitolo.


Prendiamo per esempio le primissime pagine: Le Carrè non descrive mai l’attentato terroristico dal quale parte la vicenda. Tu lettore cominci a leggere delle sue conseguenze, di particolari inerenti il fatto, di persone che ne parlano, di supposizioni e corsi di indagine, e ti aspetti che l’autore prima o poi lo descriva: bene, lui non lo fa, ma alla fine tu ti ritrovi a conoscerlo come se lo avesse fatto.
I personaggi sono enigmatici, effimeri come gli pseudonimi che cambiano continuamente: nel leggere bisogna porre attenzione, bisogna stare concentrati per individuare quei riferimenti fuggevoli che marcano i protagonisti, ma se ci riesci emergono delle personalità difficili da dimenticare. Con continui passaggi psicologici, dal bene al male e viceversa, identità politiche che si modificano, che si trasformano, nessuno appare alla fine come il buono o il cattivo riconosciuto, e in una tragedia internazionale come il conflitto tra israeliani e palestinesi Le Carrè riesce a trovare una giustificazione per quasi tutti i comportamenti personali, per quanto crudi possano sembrare.
L’esperienza di Le Carrè (che in realtà è uno pseudonimo, il suo vero nome è David John Moore Cornwell) come membro del SIS, il servizio segreto inglese che diventerà poi l’MI6, emerge nel saper descrivere tecniche e rapporti tra agenti del controspionaggio, nonché le ambiguità di cui è satura la politica internazionale, ma quello che impressiona è la sua capacità di saper rendere una situazione accennando ad un solo particolare.
Non è un libro facile, lo ammetto, richiede un certo impegno, ma a me è piaciuto molto di più de La talpa o Il giardiniere tenace.
Il film del 1984 che ne è stato tratto, con protagonista Diane Keaton nella parte di Charlie, sembra che non abbia riscosso lo stesso successo del libro, vuoi per i 37 anni (all’epoca) della Keaton chiamata a recitare la parte di una venticinquenne, vuoi perché cast e regista non sono riusciti a rendere quell’approfondimento psicologico che costituisce una delle colonne portanti del romanzo.
Il Lettore 

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