Questo Viaggio nell’Impero di Roma seguendo una moneta (questo è il
sottotitolo) è il primo libro che leggo di Alberto
Angela, e devo dire che non ho potuto fare a meno di sorridere tra me e me per
tutto il tempo della lettura: avete presente come parla Angela nelle sue
trasmissioni televisive? Ecco, leggendo sembra proprio di sentirlo parlare:
stesso stile da saccentello simpaticone (tu non sai un tubo ma ora te lo spiego
io…), stesso ritmo e stessa intonazione!
E quando salta una riga tra
un blocco e l’altro è come se lanciasse uno spot pubblicitario…
Diciamo che, a parte lo
stile televisivo da divulgazione spicciola e una sintassi spartana in cui
domina l’ordine soggetto–predicato–oggetto, il libro è un interessante excursus nei più vari aspetti della
società romana del primo secolo dopo Cristo, quando l’Impero era al suo apogeo. La scusa è il viaggio percorso da un sesterzio che passa di mano in mano
dopo essere stato coniato, permettendo all’autore di descrivere (alcune volte
più minutamente, altre meno) innumerevoli aspetti del vivere quotidiano
dell’epoca.
I frequenti paragoni con la
vita odierna sono interessanti, così come del resto quasi tutta le messe di
notizie che Angela riporta nel libro citando frequentemente le fonti (scrittori
latini, archeologi, antropologi, musei) da cui sono state attinte. Il libro si
legge abbastanza bene: dopo una partenza un po’ stentata il desiderio di
continuare a leggere mi è cresciuto man mano per la curiosità innescata dalle
notizie riportate, più che per il desiderio di vedere che fine avrebbe fatto
quel sesterzio; anche se lo stile (se si può chiamare stile…) dopo un po’
annoia: un conto è ascoltare padre e
figlio un’oretta in televisione, un conto leggere un libro di più di
cinquecento pagine…
A mio parere il piacere della
lettura scade proprio nei punti in cui l’autore tenta di suscitare emozioni nel
pubblico di lettori inserendo momenti topici che sanno platealmente di trucco
letterario: dalla descrizione di un amplesso focoso tra due amanti alla tragica
condizione degli schiavi, ai bambini che muoiono per malattie che all’epoca non
si sapeva come curare. Episodi dei quali si spiegano tutti i perché e i percome,
ma che sembrano inseriti ad hoc per
scuoterci dall’assopimento. Ma in fondo questo aspetto gli si può anche
perdonare.
Di sicuro, se lo facessi
leggere a mio figlio, sugli antichi romani imparerebbe più da questo libro che
dai suoi testi storici di scuola media.
Il Lettore
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