giovedì 15 novembre 2018

Io sono un gatto


Oltre al fatto che riesco a leggere molto di meno, sono incappato in una sequela di libri che si rivelano pallosissimi, come l’ultimo postato e come questo, che porto avanti con fatica quando addirittura non sono costretto a piantarli a metà, come questo (e due), e che pur possedendo una certa dose di fascino non posseggono tutti gli altri requisiti necessari a dare soddisfazione.
In più mettiamoci che l’atto stesso di scrivere questo post sta diventando una tortura perché ho tutte le dita, compreso carpo e metacarpo, indolenzite per aver usato troppo motoseghe e roncola questa mattina e l’essere passato alla tastiera non consueta del computer nuovo non aiuta di certo.
Va be’, problemi di noi boscaioli (quelli non abbastanza allenati).



Io sono un gatto mi ha attratto subito per il solo fatto di avere questo titolo. Natsume Soseki (pseudonimo di Kinnosuke Natsume, ma in ogni caso non si conosce lo stesso), lo ha scritto nel lontano 1905 mentre il Giappone era in guerra contro la Russia, ed è il primo romanzo di questo autore.
Questo libro mi ha attirato per il solo fatto di parlare di gatti, che sono animali che amo molto. Ma in genere la maggior parte degli autori che trattano di gatti non sono capaci a tener viva l’attenzione: o si fanno ben presto noiosi o cadono nello scontato e nella melensaggine. Conosco un solo autore “gattaro” interessante, ed è il blogger de I gatti di Monte Malbe (http://igattidimontemalbe.blogspot.com/).
Natsume Soseki arriva al punto di immedesimarsi con questo gattino appena nato che del tutto inaspettatamente arriva in casa di un professore di liceo (dal carattere interessante come quello di un’ostrica) e viene ignorato ma nutrito, e nel suo poter andare dappertutto assiste e commenta la vita della casa e di chi la frequenta passando per lo più inosservato nella totale trascuratezza degli umani nei suoi confronti. È lo stesso gatto che narra in prima persona: non ha un nome perché nessuno si è preso la briga di metterglielo, e di ogni cosa fa un argomento sul quale intervenire e dire la sua.
Personaggi simpatici o insopportabili, consuetudini strane o del tutto normali. Il gatto vede e commenta. Come però farebbe un “umano” alquanto erudito. Arrivando a parlare di filosofia e rifacendosi a molte massime “zen”. In pratica Soseki lo ha reso troppo umano, lo ha antropomorfizzato troppo arrivando a rendere la cosa alquanto inverosimile, facendolo comportare come una persona con una cultura universitaria e non più come un semplice gatto.
Inoltre la maggior parte delle cose nominate ha il nome giapponese: vestiti, cibi, consuetudini sociali, modi di fare, il che rende molte pagine veramente incomprensibili (fino a sapere cosa sono un futon o un tatami ci arrivo, ma il mochi e il kenban mi sono proprio ignoti. È vero che ci sono delle note con le spiegazioni a fondo libro, ma è troppo scomodo dover andare alla fine ad ogni richiamo che si incontra. Continuiamo a rimanere nell’ignoranza, ma non è piacevole). Tutto questo rende il testo, sia pure da un certo punto di vista anche affascinante, oltremodo non interessante e noioso, e arrivato circa a metà sono stato costretto ad abbandonarlo per l’incapacità a proseguire per più di una pagina al giorno.
Comunque ve ne riporto l’incipit: “Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È là che per la prima volta ho visto un essere umano. Si trattava di uno di quegli studenti che vivono a pensione presso un professore - mi hanno poi detto - e che fra tutti gli uomini sono la specie più perversa. Si racconta che costoro ogni tanto acchiappino uno di noi, lo mettano in pentola e se lo mangino. Però in quel momento, non sapendolo, non ebbi paura. Provai soltanto un senso di vertigine quando lo studente mi mise sul palmo della mano e di colpo mi sollevò per aria. Appena ritrovai una certa stabilità lo guardai in faccia, era il primo individuo appartenente alla specie umana che vedevo in vita mia. Che creatura curiosa, pensai, e quest’impressione di stranezza la conservo tuttora. Tanto per cominciare il viso, invece di essere coperto di peli, era liscio come una teiera.
E fin qui è comprensibile. Poi peggiora. Le 500 e passa pagine non sono riuscito a reggerle tutte.
Il Lettore 




Nessun commento:

Posta un commento