Con questo susseguirsi di
giornate splendide è giocoforza, per chi ha un orto o un giardino, dover
impiegare gran parte del tempo libero per svolgere i lavori all’aperto. Di
conseguenza si relega il tempo per leggere al momento in cui ci si infila a
letto e, già stanchi per la giornata di lavoro, si fa presto a crollare con la
faccia sul libro.
Per questo motivo ci ho messo
parecchio a terminare questo romanzo di James
Lasdun, e anche perché, ad onta della smaccata pubblicità in copertina che
recita “un romanzo che intrappola il
lettore”, in realtà non è che “tiri” un granché e quindi il sonno vince
facile.
Questo L’unicorno però un pregio ce l’ha: la prosa è squisita, formalmente è scritto benissimo, sia nella scelta della
terminologia che nella sintassi, e a dirla tutta l’ho finito di leggere solo
per questo, perché quanto alla vicenda raccontata non è che mi abbia coinvolto
poi così tanto. Basato per la maggior parte sui pensieri e sulle ossessioni del
protagonista narrante, un professore inglese trasferitosi a New York, e sui
suoi rapporti con colleghi e conoscenti, il romanzo si perde in una miriade di flashback e fatterelli sparsi che per
quanto raccontati in modo superbo finiscono col distogliere continuamente
l’attenzione dalla linea narrativa principale, tanto che diverse volte sono
dovuto tornare indietro per provare a raccapezzarmici. Complice anche il sonno.
Della tensione che il lato thrilling avrebbe dovuto innescare non
ce n’è neanche l’ombra e quindi, per quanto il romanzo sia costruito davvero
con una finezza di scrittura
piuttosto rara da trovare, in definitiva l’ammirevole sforzo dell’autore si è
risolto in un’opera che lascia il tempo che trova senza lasciare il segno.
Adesso devo trovare qualcos’altro
per stasera, ma intanto bisogna mettere mano al rasaerba e al decespugliatore.
Il Lettore
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