L’altra sera quell’ingenua
del mio editor e io siamo andati ad
assistere a una conferenza alla Sala
Santa Chiara nei meandri di Via Tornetta.
L’incontro riportava
l’importante titolo “L’Odissea del
moderno da Ulisse a Finnegans wake” ed era patrocinato dall’ Associazione
culturale Umbria-Grecia “Alarico
Silvestri”.
«Che dici? Potrebbe essere carino» mi ha detto la candida consorte.
«In effetti Joyce mi ha
sempre interessato» ho risposto.
«Joyce?» mi fa lei, «Che
c’entra Joyce?»
Sono rimasto interdetto. Poi ho capito e mi sono ripreso.
«Ma tu di che cosa pensi che parli la conferenza?»
Nel suo infinito
innamoramento per la civiltà greca
il mio editor era rimasta abbacinata
dalle parole “Odissea” e “Ulisse” del titolo, oltre che dallo stesso organismo
organizzatore, e non aveva tenuto nella minima considerazione né la parola “moderno”
né tantomeno “Finnegans wake”.
«Di Ulisse…” mi ha
risposto.
Benedetta ingenuità.
«Mi sa che ti toccherà una terribile delusione» ho ribattuto, «spero
che tu non debba annoiarti troppo».
Timore infondato. La
conferenza, in una sala strapiena, è stata interessantissima
(anche a detta di lei medesima) e il sentir parlare di James Joyce da persone esperte ha rinfocolato l’ammirazione che
provo per l’autore irlandese. Anche se…
Di James Joyce ho letto e apprezzato Gente di Dublino e Dedalus,
ma i miei tentativi di portare a compimento la lettura sia di Ulisse che di Finnegans wake si sono arenati dopo poche pagine e non sono mai
riuscito a terminare i due libri pur avendoli iniziati entrambi a più riprese.
Il conduttore della serata ce ne ha spiegato anche il perché, visto che una
gentile esponente dell’organizzazione, presentando l’oratore, aveva confessato
di trovarsi nella mia stessa situazione.
Ci si prova ma non si riesce
ad arrivare in fondo, colpa della complessità su più livelli delle opere, e del
fatto che Joyce ha scritto solo per il suo lettore ideale fregandosene altamente del lettore comune. Cose tipiche del genio.
Colui che ha tenuto la
conferenza è stato Enrico Terrinoni,
professore di letteratura inglese nonché attuale e ultimo traduttore del Finnegans (insieme a Fabio Pedone), coadiuvato dall’attore Michele Carli che ha letto e interpretato alcuni brani tratti sia
da quest’ultimo che dall’Ulisse.
Terrinoni ha spiegato alla
sala la difficoltà di leggere queste due opere di Joyce e la volontà dell’autore (del tutto intenzionale) di far faticare il lettore, di costringerlo a
riflettere a fondo su ogni parola di ogni frase in una metafora del viaggio e
della vita stessa, che non è per niente facile come lo può essere un
romanzetto. Ha spiegato la scelta della figura di Ulisse come ispiratore e alter ego del protagonista e i legami politici tra le innovazioni della
scrittura di Joyce, l’Irlanda e la storpiatura della lingua inglese, fino ad
approfondire la psicologia di Leopold
Bloom come uomo molto avanti rispetto ai suoi tempi e il suo rapporto con
la moglie.
Particolare attenzione è
stata dedicata all’analisi dello stile del Finnegans
wake, del quale Terrinoni ci ha reso edotti che Joyce ha impiegato circa 15
anni per scriverlo e che andrebbe letto non più di 2-3 righe al giorno, a voce
alta, impiegando così circa 23 anni
per terminarlo (!!!).
Certo che a dover comprendere
appieno frasi come “Né a luce d’arco
avevano Giem o Shem distillato un gallone del malto paterno, né il roriadoso
estremo dell’altobaleno regisplendeva girigiocoso sull’acquispecchio” non
metto in dubbio ci voglia un certo tempo. La traduzione in questo caso non è di Terrinoni ma di J. Rodolfo Wilcock, e proprio questo
punto cruciale dei problemi di versione in un’altra lingua di un’opera del
genere ha dato la stura, in macchina, tornando a casa, a una dibattuta
disquisizione a due sui problemi di resa della traduzione e se non sarebbe in
fondo più soddisfacente leggerlo direttamente nell’originale inglese storpiato.
Così gli anni diventerebbero 46.
Comunque la conferenza è
stata davvero interessante, mi ha
fatto tornare la voglia di riprendere in mano i due tomi magari sfruttando la dritta
di partire stavolta dal 4° capitolo
dell’Ulisse invece che dall’inizio, ne è rimasta soddisfatta anche il mio editor, e ci si augura che di iniziative
del genere ce ne possano essere di più e più spesso.
Anche se non trattano della Grecia in senso stretto.
Lo Scrittore
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