venerdì 24 marzo 2017

Antico o moderno?

L’altra sera quell’ingenua del mio editor e io siamo andati ad assistere a una conferenza alla Sala Santa Chiara nei meandri di Via Tornetta.
L’incontro riportava l’importante titolo “L’Odissea del moderno da Ulisse a Finnegans wake” ed era patrocinato dall’ Associazione culturale Umbria-Grecia “Alarico Silvestri”.
«Che dici? Potrebbe essere carino» mi ha detto la candida consorte.
«In effetti Joyce mi ha sempre interessato» ho risposto.
«Joyce?» mi fa lei, «Che c’entra Joyce?»
Sono rimasto interdetto. Poi ho capito e mi sono ripreso.
«Ma tu di che cosa pensi che parli la conferenza?»
Nel suo infinito innamoramento per la civiltà greca il mio editor era rimasta abbacinata dalle parole “Odissea” e “Ulisse” del titolo, oltre che dallo stesso organismo organizzatore, e non aveva tenuto nella minima considerazione né la parola “moderno” né tantomeno “Finnegans wake”.
«Di Ulisse” mi ha risposto.
Benedetta ingenuità.
«Mi sa che ti toccherà una terribile delusione» ho ribattuto, «spero che tu non debba annoiarti troppo».




Timore infondato. La conferenza, in una sala strapiena, è stata interessantissima (anche a detta di lei medesima) e il sentir parlare di James Joyce da persone esperte ha rinfocolato l’ammirazione che provo per l’autore irlandese. Anche se…
Di James Joyce ho letto e apprezzato Gente di Dublino e Dedalus, ma i miei tentativi di portare a compimento la lettura sia di Ulisse che di Finnegans wake si sono arenati dopo poche pagine e non sono mai riuscito a terminare i due libri pur avendoli iniziati entrambi a più riprese. Il conduttore della serata ce ne ha spiegato anche il perché, visto che una gentile esponente dell’organizzazione, presentando l’oratore, aveva confessato di trovarsi nella mia stessa situazione.
Ci si prova ma non si riesce ad arrivare in fondo, colpa della complessità su più livelli delle opere, e del fatto che Joyce ha scritto solo per il suo lettore ideale fregandosene altamente del lettore comune. Cose tipiche del genio.
Colui che ha tenuto la conferenza è stato Enrico Terrinoni, professore di letteratura inglese nonché attuale e ultimo traduttore del Finnegans (insieme a Fabio Pedone), coadiuvato dall’attore Michele Carli che ha letto e interpretato alcuni brani tratti sia da quest’ultimo che dall’Ulisse.
Terrinoni ha spiegato alla sala la difficoltà di leggere queste due opere di Joyce e la volontà  dell’autore (del tutto intenzionale) di far faticare il lettore, di costringerlo a riflettere a fondo su ogni parola di ogni frase in una metafora del viaggio e della vita stessa, che non è per niente facile come lo può essere un romanzetto. Ha spiegato la scelta della figura di Ulisse come ispiratore e alter ego del protagonista e i legami politici tra le innovazioni della scrittura di Joyce, l’Irlanda e la storpiatura della lingua inglese, fino ad approfondire la psicologia di Leopold Bloom come uomo molto avanti rispetto ai suoi tempi e il suo rapporto con la moglie.
Particolare attenzione è stata dedicata all’analisi dello stile del Finnegans wake, del quale Terrinoni ci ha reso edotti che Joyce ha impiegato circa 15 anni per scriverlo e che andrebbe letto non più di 2-3 righe al giorno, a voce alta, impiegando così circa 23 anni per terminarlo (!!!).
Certo che a dover comprendere appieno frasi come “Né a luce d’arco avevano Giem o Shem distillato un gallone del malto paterno, né il roriadoso estremo dell’altobaleno regisplendeva girigiocoso sull’acquispecchio” non metto in dubbio ci voglia un certo tempo. La traduzione in questo caso non è di Terrinoni ma di J. Rodolfo Wilcock, e proprio questo punto cruciale dei problemi di versione in un’altra lingua di un’opera del genere ha dato la stura, in macchina, tornando a casa, a una dibattuta disquisizione a due sui problemi di resa della traduzione e se non sarebbe in fondo più soddisfacente leggerlo direttamente nell’originale inglese storpiato. Così gli anni diventerebbero 46.
Comunque la conferenza è stata davvero interessante, mi ha fatto tornare la voglia di riprendere in mano i due tomi magari sfruttando la dritta di partire stavolta dal 4° capitolo dell’Ulisse invece che dall’inizio, ne è rimasta soddisfatta anche il mio editor, e ci si augura che di iniziative del genere ce ne possano essere di più e più spesso.
Anche se non trattano della Grecia in senso stretto.
Lo Scrittore 

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