È la prima volta che leggo Elizabeth George, ma già da prima di
iniziare questo romanzo sapevo come al momento sia considerata una delle più
quotate gialliste sulla piazza mondiale. Certo è che nell’accingersi a iniziare
un suo romanzo un lettore deve dotarsi di una considerevole dote di pazienza, perché affermare che il ritmo
della George è “lento” è solamente un eufemismo.
Basti pensare che i
protagonisti seriali dei suoi romanzi, gli investigatori (l’ispettore Thomas Lynley e il sergente Barbara Havers), in questo caso compaiono
solo dopo cento pagine dall’inizio,
il primo morto ammazzato dopo duecento,
e il fatto che questo si tratti effettivamente di un omicidio dopo duecentocinquanta. Questo lascia capire
come esso non possa proprio essere considerato come un giallo “d’azione”.
Ritmo lento, dunque, con un’attenzione particolare rivolta
all’introspezione e al mostrare al lettore tutte le sfaccettature dell’ambiente
in cui si svolge la vicenda e soprattutto del modo di vivere e interagire della
moltitudine di personaggi che ne costituiscono il materiale umano.
La prima parte del romanzo è
infatti tutta dedicata a inquadrare la
variegata contestualizzazione e i personaggi che vi si muovono come
protagonisti, partendo da un passato remoto e dedicando parecchie pagine ad
ognuno di essi, ai suoi problemi (e ne hanno tutti) e ai rapporti che esistono
tra di loro, lanciando anche frequenti incursioni nei passati personali.
Nonostante la lentezza
comunque il libro si legge bene: lo
stile è molto curato, la George “mostra” e non dice e riesce benissimo a far
emergere il carattere dei personaggi. Coloro che lei vuole far apparire
antipatici non si sopportano proprio, e si comportano in un modo tale da far crescere
nel lettore una repulsione istintiva nei loro confronti.
Come in ogni giallo che si
rispetti si resta indecisi fino alla fine su chi sia effettivamente il colpevole: la George suggerisce al
lettore di puntare in una direzione ma lascia aperte parecchie strade ognuna
delle quali plausibile, per cui non c’è la certezza di averci azzeccato fino a
che non te lo rivela l’autrice stessa, e quando lo fa allora giustifichi anche
tutte le pagine che ha impiegato per dirtelo, perché all’origine del delitto ci
sono i segreti più inconfessabili
riposti nei meandri più nascosti di alcune famiglie e che lei ha voluto
rappresentare in qualche modo. C’è riuscita, ma in ogni caso almeno qualche
pagina se la sarebbe potuta risparmiare: la trama risulta essere un po’ troppo
diluita fino a sfiorare l’insorgenza nel lettore dell’esasperazione, per dare
spazio a minuziose descrizioni dei caratteri dei personaggi che, se nel
complesso sono anche giustificate, mentre leggi risultano un po’ pesanti.
Ripeto che è la prima volta
che leggo la George, e di conseguenza non posso valutare i cambiamenti succedutisi
nel corso di diciannove romanzi nella rappresentazione dei personaggi seriali e
dei loro problemi spiccioli. Leggo in rete che col tempo il carattere dell'ispettore e del sergente si è
modificato e così la percezione del lettore nei loro confronti, ma se da un
lato questo non ho modo di apprezzarlo, posso comunque dire che a me sono
sembrati plausibili e coerenti con l’immagine che ne ha voluto dare l’autrice.
Però la maggior parte dei
commenti che ho letto concordano nell’affermare che questo romanzo è molto
lontano (in peggio) dai primi della George e ciò ― dal momento che a me nel
complesso è piaciuto anche se per leggerlo ci ho messo una settimana ― mi predispone bene per una futura lettura di altre sue
opere più datate.
Il Lettore
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