mercoledì 20 aprile 2016

Le conseguenze dell’odio

È la prima volta che leggo Elizabeth George, ma già da prima di iniziare questo romanzo sapevo come al momento sia considerata una delle più quotate gialliste sulla piazza mondiale. Certo è che nell’accingersi a iniziare un suo romanzo un lettore deve dotarsi di una considerevole dote di pazienza, perché affermare che il ritmo della George è “lento” è solamente un eufemismo.
Basti pensare che i protagonisti seriali dei suoi romanzi, gli investigatori (l’ispettore Thomas Lynley e il sergente Barbara Havers), in questo caso compaiono solo dopo cento pagine dall’inizio, il primo morto ammazzato dopo duecento, e il fatto che questo si tratti effettivamente di un omicidio dopo duecentocinquanta. Questo lascia capire come esso non possa proprio essere considerato come un giallo “d’azione”.




Ritmo lento, dunque, con un’attenzione particolare rivolta all’introspezione e al mostrare al lettore tutte le sfaccettature dell’ambiente in cui si svolge la vicenda e soprattutto del modo di vivere e interagire della moltitudine di personaggi che ne costituiscono il materiale umano.
La prima parte del romanzo è infatti tutta dedicata a inquadrare la variegata contestualizzazione e i personaggi che vi si muovono come protagonisti, partendo da un passato remoto e dedicando parecchie pagine ad ognuno di essi, ai suoi problemi (e ne hanno tutti) e ai rapporti che esistono tra di loro, lanciando anche frequenti incursioni nei passati personali.
Nonostante la lentezza comunque il libro si legge bene: lo stile è molto curato, la George “mostra” e non dice e riesce benissimo a far emergere il carattere dei personaggi. Coloro che lei vuole far apparire antipatici non si sopportano proprio, e si comportano in un modo tale da far crescere nel lettore una repulsione istintiva nei loro confronti.
Come in ogni giallo che si rispetti si resta indecisi fino alla fine su chi sia effettivamente il colpevole: la George suggerisce al lettore di puntare in una direzione ma lascia aperte parecchie strade ognuna delle quali plausibile, per cui non c’è la certezza di averci azzeccato fino a che non te lo rivela l’autrice stessa, e quando lo fa allora giustifichi anche tutte le pagine che ha impiegato per dirtelo, perché all’origine del delitto ci sono i segreti più inconfessabili riposti nei meandri più nascosti di alcune famiglie e che lei ha voluto rappresentare in qualche modo. C’è riuscita, ma in ogni caso almeno qualche pagina se la sarebbe potuta risparmiare: la trama risulta essere un po’ troppo diluita fino a sfiorare l’insorgenza nel lettore dell’esasperazione, per dare spazio a minuziose descrizioni dei caratteri dei personaggi che, se nel complesso sono anche giustificate, mentre leggi risultano un po’ pesanti.
Ripeto che è la prima volta che leggo la George, e di conseguenza non posso valutare i cambiamenti succedutisi nel corso di diciannove romanzi nella rappresentazione dei personaggi seriali e dei loro problemi spiccioli. Leggo in rete che col tempo il carattere dell'ispettore e del sergente si è modificato e così la percezione del lettore nei loro confronti, ma se da un lato questo non ho modo di apprezzarlo, posso comunque dire che a me sono sembrati plausibili e coerenti con l’immagine che ne ha voluto dare l’autrice.
Però la maggior parte dei commenti che ho letto concordano nell’affermare che questo romanzo è molto lontano (in peggio) dai primi della George e ciò ― dal momento che a me nel complesso è piaciuto anche se per leggerlo ci ho messo una settimana ― mi predispone bene per una futura lettura di altre sue opere più datate.
Il Lettore 

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