venerdì 21 febbraio 2014

Un parallelo tra Monet, Pissarro e… Proust (???)

Poco fa, in una delle rarissime occasioni in cui accendo la televisione di mia spontanea volontà, mi sono messo a seguire un’interessante trasmissione sulla pittura impressionista, che verteva in particolare su come e quanto Monet e Pissarro siano stati suggestionati dall’opera di Turner durante il periodo del loro volontario esilio britannico. La famosa tela House of Parliament Sun di Claude Monet rappresenta un esempio del concetto:


Documentario interessante e realizzato benissimo, chiaro senza sfoggiare una ridicola terminologia da critico d’arte ed esplicativo per il gran numero di tele inquadrate in primo piano, nella globalità e nei particolari. Molto meglio di Sanremo. Qualcosina di arte ne capisco, ed ho apprezzato la spiegazione che non conoscevo su una delle tecniche adoperate dai due artisti nel comporre i loro paesaggi, anche se entrambi hanno sempre negato di essere stati influenzati dal pittore inglese di cui a detta loro nemmeno conoscevano le opere. Bravi ma bugiardi: c’è la loro firma nell’elenco dei visitatori di una mostra londinese di Turner.
Piccola digressione: se le opere d’arte (!) moderna che vengono realizzate oggi, come ad esempio quelle esposte l’altro giorno a Bari,  possedessero una sia pur minima percentuale del valore intrinseco di un Monet, allora forse non sarebbero state gettate nel cassonetto dei rifiuti dall’inserviente che le ha scambiate, secondo me con tutte le ragioni possibili, per semplice spazzatura. A dimostrazione del fatto che molte volte un inserviente ne capisce più di un critico d’arte. Chiusa digressione.
Ma adesso voi direte: e tutto ciò con la letteratura cosa c’entra?
Proprio nulla.
Intanto gustatevi questo Boulevard Montmartre de nuit, di Camille Pissarro, poi continuo.


È che mentre mi gustavo il tocco lieve di Monet (sia pure solo a schermo) mi è venuto pensato un concetto strano, ho effettuato tra me e me una rapidissima (e personalissima) analisi su una delle differenze possibili di fruizione tra un’opera visiva e un’opera letteraria: il tempo necessario per poterla apprezzare.
Per fare un esempio terra terra, prendiamo una tela: chiunque, a colpo d’occhio, può decidere in un attimo se quel dipinto lo soddisfa oppure no.
Mi piace, non mi piace: un secondo.
Poi magari, perdendoci più tempo, informandosi, analizzando da più angolazioni, studiando percorsi, tecniche, storia e motivazioni, si possono approfondire le ragioni che hanno portato a quella scelta e in extrema ratio si può anche cambiare l’opinione primigenia. Ragionandoci sopra, magari aiutati da qualche esperto, ci si può documentare sul perché e il percome del processo creativo dell’artista, e rafforzare o disquisire la prima impressione. Che però si forma quasi sempre in modo immediato.
E così anche per una scultura o per qualsiasi opera visiva.
Questo non è però il caso della letteratura, per apprezzare la quale si ha bisogno almeno del tempo necessario a leggere l’opera. Leggendo un romanzo non può sorgere un’opinione immediata, bisogna prima terminarlo utilizzando una certa quantità di tempo che può variare da qualche minuto per un racconto a qualche mese per A’ la recherche du temps perdu di Marcel Proust (la mia velocità media di lettura è di circa cinquanta pagine l’ora, di conseguenza per finire la Recherche mi occorrerebbero tre giorni pieni senza mai staccare…). Solo una volta impiegato quel tempo ci si potrà domandare se la lettura è stata soddisfacente e quanto ci abbia appagato.
Uno spunto per filosofeggiare, da cui si può partire per seguire diverse direzioni.
Una delle possibili conclusioni di questa riflessione astrusa potrebbe essere quella di valutare bene a priori cosa ci si appresta a leggere, perché dal momento che dobbiamo impegnarci del tempo, sarebbe meglio che lo si impieghi per qualcosa che merita.
Per fortuna per leggere questo post fantasioso avete perso meno di cinque minuti.
Il Lettore e lo Scrittore

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