Poco fa, in una delle
rarissime occasioni in cui accendo la televisione di mia spontanea volontà, mi
sono messo a seguire un’interessante trasmissione sulla pittura impressionista,
che verteva in particolare su come e quanto Monet e Pissarro siano stati suggestionati
dall’opera di Turner durante il periodo del loro volontario esilio britannico.
La famosa tela House of Parliament Sun
di Claude Monet rappresenta un
esempio del concetto:
Documentario interessante e realizzato benissimo,
chiaro senza sfoggiare una ridicola terminologia da critico d’arte ed
esplicativo per il gran numero di tele inquadrate in primo piano, nella
globalità e nei particolari. Molto meglio di Sanremo. Qualcosina di arte ne
capisco, ed ho apprezzato la spiegazione che non conoscevo su una delle
tecniche adoperate dai due artisti nel comporre i loro paesaggi, anche se
entrambi hanno sempre negato di essere stati influenzati dal pittore inglese di
cui a detta loro nemmeno conoscevano le opere. Bravi ma bugiardi: c’è la loro
firma nell’elenco dei visitatori di una mostra londinese di Turner.
Piccola digressione: se le
opere d’arte (!) moderna che vengono
realizzate oggi, come ad esempio quelle esposte l’altro giorno a Bari, possedessero una sia pur minima percentuale
del valore intrinseco di un Monet, allora forse non sarebbero state gettate nel cassonetto dei rifiuti
dall’inserviente che le ha scambiate, secondo me con tutte le ragioni
possibili, per semplice spazzatura. A dimostrazione del fatto che molte volte
un inserviente ne capisce più di un critico d’arte. Chiusa digressione.
Ma adesso voi direte: e
tutto ciò con la letteratura cosa c’entra?
Proprio nulla.
Intanto gustatevi questo Boulevard Montmartre de nuit, di Camille Pissarro, poi continuo.
È che mentre mi gustavo il
tocco lieve di Monet (sia pure solo a schermo) mi è venuto pensato un concetto
strano, ho effettuato tra me e me una rapidissima (e personalissima) analisi su
una delle differenze possibili di fruizione tra un’opera visiva e un’opera
letteraria: il tempo necessario per
poterla apprezzare.
Per fare un esempio terra
terra, prendiamo una tela: chiunque, a colpo d’occhio, può decidere in un attimo
se quel dipinto lo soddisfa oppure no.
Mi piace, non mi piace: un
secondo.
Poi magari, perdendoci più
tempo, informandosi, analizzando da più angolazioni, studiando percorsi, tecniche,
storia e motivazioni, si possono approfondire le ragioni che hanno portato a
quella scelta e in extrema ratio si può
anche cambiare l’opinione primigenia. Ragionandoci sopra, magari aiutati da
qualche esperto, ci si può documentare sul perché e il percome del processo
creativo dell’artista, e rafforzare o disquisire la prima impressione. Che però
si forma quasi sempre in modo immediato.
E così anche per una
scultura o per qualsiasi opera visiva.
Questo non è però il caso
della letteratura, per apprezzare la quale si ha bisogno almeno del tempo
necessario a leggere l’opera. Leggendo un romanzo non può sorgere un’opinione
immediata, bisogna prima terminarlo utilizzando una certa quantità di tempo che
può variare da qualche minuto per un racconto a qualche mese per A’ la recherche du temps perdu di Marcel Proust (la mia velocità media di
lettura è di circa cinquanta pagine l’ora, di conseguenza per finire la Recherche mi occorrerebbero tre giorni
pieni senza mai staccare…). Solo una volta impiegato quel tempo ci si potrà
domandare se la lettura è stata soddisfacente e quanto ci abbia appagato.
Uno spunto per
filosofeggiare, da cui si può partire per seguire diverse direzioni.
Una delle possibili
conclusioni di questa riflessione astrusa potrebbe essere quella di valutare
bene a priori cosa ci si appresta a leggere, perché dal momento che dobbiamo
impegnarci del tempo, sarebbe meglio che lo si impieghi per qualcosa che
merita.
Per fortuna per leggere
questo post fantasioso avete perso meno di cinque minuti.
Il Lettore e lo Scrittore
Nessun commento:
Posta un commento