martedì 25 febbraio 2014

I salici ciechi e la donna addormentata

Avete presente quando vi prende sete, ma sete veramente, una sete di quelle che vi afferrano dopo una bella corsa in un giorno d’estate? Pensate al momento in cui la soddisferete trangugiando un bicchierone di acqua fresca, limpida, cristallina, anche leggermente gassata grazie, a me piace così.

La lettura di Murakami mi fa venire in mente questo: bere un bicchiere d’acqua quando si ha sete.


I salici ciechi e la donna addormentata è una raccolta di 24 racconti che Haruki Murakami ha scritto nell’arco di vent’anni. Bellissimi. La scelta editoriale di questo lungo intervallo di tempo ha fatto sì che in questa antologia si trovino raccolti molti argomenti della tematica dello scrittore giapponese, e per questo motivo la sensazione che più emerge andando avanti è la sorpresa: nell’iniziare ogni racconto non sai mai in cosa stai per imbatterti, se nell’assurdo o in una rievocazione autobiografica, nella presenza dell’aspetto fantastico nella vita quotidiana o nell’introspezione della solitudine, se stai per leggere una novella in cui dominano leggerezza e umorismo o una tragedia di quelle che Murakami sa descrivere in modo così realistico da far venire i brividi.
Intuizioni folgoranti, ispirazioni sorprendenti fanno da contrappunto a storie che descrivono la normalità più assoluta, “senza trama e senza finale”, come direbbe Cechov, e ad altre le cui conclusioni ti lasciano spaesato, come in La tragedia nella miniera di carbone. Da un racconto all’altro cambiano le ambientazioni e le atmosfere, ma resta invariato quello stile squisito al quale Murakami ci ha abituato permettendoci una lettura fluida che risulta difficile da interrompere. La tecnica che utilizza Murakami è un raccontare i sentimenti per immagini, mostrando dolcezza, tristezza, malinconia e perfino orrore attraverso semplici descrizioni di azioni in tono discorsivo. Nel 2013 il Nobel non glielo hanno assegnato, ma sono sicuro che prima o poi non gli sfuggirà.
Un grosso plauso va anche alla traduttrice Antonietta Pastore per aver saputo utilizzare un italiano pressoché perfetto, e ai curatori della Einaudi che mi hanno fatto registrare un solo refuso in un libro di quasi 400 pagine.
Il Lettore

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