lunedì 7 marzo 2016

La città d’oro

Mi ha tenuto sveglio fino all’alba. Un libro meraviglioso!” C’è scritto sulla copertina di questo libro (in alto a sinistra, controllate pure), e queste parole dovrebbero essere state pronunciate da Douglas Preston, ma sì, quello che insieme a Lincoln Child è diventato famoso dapprima con il romanzo Relic e quindi con la creazione di uno degli investigatori più interessanti di questi ultimi tempi: Aloysius Pendergast, senza il quale l’FBI sarebbe ridotto a una manica di pezzenti.
Ma io dubito che Preston abbia mai pronunciato queste parole, e dubito anche che il libro lo abbia letto davvero. O forse si è confuso con qualcos’altro. O forse lo ha tenuto sveglio perché quella notte il vento ne faceva sventolare le pagine. O forse perché per una scossa di terremoto il libro è caduto dal comodino svegliandolo.
Ma è possibile anche che un autore in gamba prima o poi si rincoglionisca. Va a sapere.




Fatto sta che questo La città d’oro è veramente brutto. Non tanto da piantarlo a metà ma abbastanza da farti provare un profondo senso di delusione alla fine. Un polpettone storico nel quale l’autore Leonardo Gori ha voluto mischiare la pestilenza di Firenze con i primi viaggi nel nuovo mondo, la visione di governo di Niccolò Machiavelli con quella utopica di Tommaso Moro e le lotte tra Inghilterra e Spagna per il predominio sui mari nel ‘500.
Un polpettone (e due) che ti spazientisce perché vorresti scoprire subito come va a finire e invece sei costretto a sorbirti viaggi interminabili, novelli agenti segreti dei quali non capisci né il senso né le capacità, inspiegati e inspiegabili personaggi di contorno, assassini feroci del tipo supereroe invincibile e uno o due amori tanto per gradire. Il tutto in una storia completamente priva di una plausibilità concreta, nella quale il cosiddetto protagonista non serve assolutamente a nulla, nel corso del romanzo non fa mai qualcosa di interessante di sua spontanea volontà e alla fine si lascia manovrare come un pupazzetto. Bel modo di trattare il protagonista.
Un polpettone (e tre) pieno di personaggi stereotipati e di azioni che si sente come siano state messe lì senza alcuna ragione apparente se non quella di fare colpo, come la quasi totalità degli ammazzamenti che non sono neanche giustificati da ragioni fondate, tanto da far vacillare più volte il patto di sospensione dell’incredulità. Si naviga nel banale e nell’assurdo sfiorando spesso il ridicolo.
Bah, l’unica consolazione è quella di non aver speso soldi per comperarlo.
Il Lettore 

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