“Mi ha tenuto sveglio fino all’alba. Un libro meraviglioso!” C’è
scritto sulla copertina di questo libro (in alto a sinistra, controllate pure),
e queste parole dovrebbero essere state pronunciate da Douglas Preston, ma sì, quello che insieme a Lincoln Child è diventato famoso dapprima con il romanzo Relic e quindi con la creazione di uno
degli investigatori più interessanti di questi ultimi tempi: Aloysius Pendergast, senza il quale l’FBI
sarebbe ridotto a una manica di pezzenti.
Ma io dubito che Preston abbia mai pronunciato queste parole, e dubito
anche che il libro lo abbia letto davvero. O forse si è confuso con
qualcos’altro. O forse lo ha tenuto sveglio perché quella notte il vento ne
faceva sventolare le pagine. O forse perché per una scossa di terremoto il
libro è caduto dal comodino svegliandolo.
Ma è possibile anche che un
autore in gamba prima o poi si rincoglionisca. Va a sapere.
Fatto sta che questo La città d’oro è veramente brutto. Non tanto da piantarlo a metà
ma abbastanza da farti provare un profondo senso di delusione alla fine. Un
polpettone storico nel quale l’autore Leonardo
Gori ha voluto mischiare la pestilenza di Firenze con i primi viaggi nel
nuovo mondo, la visione di governo di Niccolò
Machiavelli con quella utopica di Tommaso
Moro e le lotte tra Inghilterra e Spagna per il predominio sui mari nel
‘500.
Un polpettone (e due) che ti spazientisce perché vorresti scoprire
subito come va a finire e invece sei costretto a sorbirti viaggi interminabili,
novelli agenti segreti dei quali non capisci né il senso né le capacità,
inspiegati e inspiegabili personaggi di contorno, assassini feroci del tipo
supereroe invincibile e uno o due amori tanto per gradire. Il tutto in una
storia completamente priva di una plausibilità concreta, nella quale il
cosiddetto protagonista non serve assolutamente a nulla, nel corso del romanzo
non fa mai qualcosa di interessante di sua spontanea volontà e alla fine si
lascia manovrare come un pupazzetto. Bel modo di trattare il protagonista.
Un polpettone (e tre) pieno
di personaggi stereotipati e di
azioni che si sente come siano state messe lì senza alcuna ragione apparente se
non quella di fare colpo, come la quasi totalità degli ammazzamenti che non
sono neanche giustificati da ragioni fondate, tanto da far vacillare più volte
il patto di sospensione dell’incredulità. Si naviga nel banale e nell’assurdo
sfiorando spesso il ridicolo.
Bah, l’unica consolazione è
quella di non aver speso soldi per comperarlo.
Il Lettore
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