Ricorrendo ad un sillogismo del tutto sbagliato potrei
anche pormi una domanda azzardata: dal momento che non mi è mai piaciuto
ballare, sono io stesso un duro?
Dilemma esistenziale di non poco conto, sul quale potrei anche non dormirci la
notte. Ma questa affermazione è uscita da una personcina del calibro di Frank Costello, e se crediamo a Renzi possiamo credere anche alle parole di uno dei più grandi delinquenti italo-americani.
Di Norman Mailer avevo letto, molto tempo fa, quell’Antiche sere che molti ritengono sia il
suo romanzo migliore, un’opera affascinante ancorché impegnativa, ambientato
nell’antico Egitto tra faraoni, dei, mummie ed esoterismo.
Con questo I duri non ballano invece l’autore
torna ad un presente costituito dalla media borghesia di paese dell’East Coast statunitense, realizzando una
mistura tra giallo, noir, romanzo di
vita e denuncia delle schifezze della società americana in pieno edonismo reaganiano
.
Il protagonista Tim Madden, mediocre scrittore
abbandonato dalla moglie, dopo una solenne ubriacatura della quale non si
ricorda nulla trova due teste di donna mozzate nella sua coltivazione privata
di cannabis. Inizia allora
un’indagine tortuosa per scoprire se sia stato lui stesso ad uccidere le donne o chi
altro, cercando nel contempo di non farsi accusare dei delitti dalla polizia.
Per come è scritto, questo
romanzo potrebbe anche essere collocato, insieme ad Antiche sere, nello scaffale riservato alla letteratura più alta,
se non fosse per il tono noir e l’ambientazione bukovskiana,
tra continue ubriacature, sniffate, omosessuali sordidi, plateali americanate,
orge, tuffi nell’esoterico, donne di costumi estremamente facili, pervertiti
viziosi e descrizioni particolareggiate di organi sessuali, palpeggiamenti,
coiti e fellatio tanto spinte da
sfiorare la pornografia.
Mailer però fornisce una
prova di prosa penetrante, fluida ed
estremamente particolareggiata, con continue concatenazioni che allontanano
temporaneamente il lettore dal filone principale ma forniscono delucidazioni su
svariati aspetti della vicenda fino a comporre un quadro completo ed esaustivo.
Nei suoi scritti, Norman Mailer estrinseca una logorrea
irrefrenabile (di quelle che quando leggi sei portato a pensare che lui scriva
tutto ciò che gli passa per la testa senza operare alcun tipo di cernita),
insieme a una capacità descrittiva
fuori dal comune. A questo proposito mi viene in mente ciò che scrivevo in un post di pochi giorni fa riguardo i
dilettanti della scrittura che, pensando di risultare sufficientemente
evocativi, nel descrivere una qualsiasi situazione tratteggiano qualcosa del
genere: “tutti quegli odori, colori,
sapori mi ammaliavano…”, senza specificare quali siano le reali qualità di questi sostantivi. Un po’ come esclamare
solo “buona!” dopo aver assaggiato un’aragosta alla Demidoff. Mi è tornata in
mente questa mia considerazione mentre leggevo questo brano di Mailer:
“Dalla
cima di una di quelle modeste alture, se il vento era forte, si poteva scorgere
in lontananza l’acqua del mare barbagliare fra scaglie di luce e spume, mentre
il colore delle pozze restava d’un bronzo scuro e sporco. Fra l’uno e l’altro
colore, c’era tutta la tavolozza del bosco. Mi piaceva il verde opaco
dell’erbaccia sulle dune e il pallido verde degli sterpi e, in quel panorama di
tardo autunno allorché le foglie hanno perso il rosso sangue e l’arancione
bruciato, i colori si riducevano al verde e al grigio e al bruno, ma con quale
gioco frammezzo! Il mio occhio era uso trovare una danza di tinte superstiti
fra i grigi dei campi e il grigio tortora, il grigio lilla e il grigio fumo, il
bruno delle felci e il bruno delle ghiande, il bruno volpe e il grigio topo e
il grigio allodola, e il verde bottiglia del muschio, e il colore dello sfagno
e il verde abete, il verde dell’agrifoglio e il verde dell’acqua del mare
all’orizzonte. Il mio occhio era uso dardeggiare da un lichene su un tronco
all’erica in un campo, dentro e fuori delle erbe palustri e dell’acero rosso
(non più rosso ma color corteccia bagnata) e l’odore del pino resinoso e le
forme contorte dei quercioli erano dentro la quiete del bosco mentre arrivava
il vento tra le foglie più alte, insieme al fragore della risacca.”
Altro che lasciare nel vago! Contrariamente
a quanto riesca a un dilettante, Mailer ti fa sentire proprio al centro di
quella situazione, vedi quello che vede lui, lo senti con precisione, ne
percepisci quel preciso odore, rabbrividisci stringendoti nel tuo giaccone per
proteggerti dalla brezza autunnale, ne capti tutte le sfumature senza che nulla
venga lasciato alla vaghezza di una generalizzazione. Ma già, dimenticavo, Norman Mailer è un professionista.
Anche nel campo della regia
cinematografica: nel 1987 questo romanzo è stato trasposto da lui stesso
nell’omonimo film con Ryan O’Neal nella parte del
protagonista Tim Madden, e Isabella Rossellini in quella della sua
ex amante Madeleine, della quale nel
romanzo è descritta la fica in un
modo talmente meticoloso che ti sembra di stare lì ad annusarla e contemplarla
dalla distanza di un palmo.
Lì per lì avevo pensato di
riportarvi anche questo brano, ma avrei
rischiato veramente di cadere nello scabroso.
Il Lettore
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