Scartabellando nella libreria
di un’amica mi sono imbattuto in questo fantastico romanzo di Michael Crichton che avevo già letto, e non una volta sola, parecchi anni
fa. Chissà per quale motivo, forse pensavo di averlo prestato, ero convinto di
non averlo più a casa e in quel momento mi è presa la voglia impellente di riguardarlo,
così l’ho portato via e una volta rientrato in sede sono andato a controllare:
la mia copia era lì al suo posto tra gli altri Crichton, evidentemente mi sono
confuso con qualche altro volume. Eh, la vecchiaia…
Ma già che c’ero, perché non rileggerlo ancora una volta?
Quando rileggi un libro che
hai già letto non meno di quattro o cinque volte non puoi fare a meno di
scimmiottare il cinefilo che pronuncia ad alta voce le battute dei film che ama
prima che siano dette dagli attori: è un doppio piacere, ti gusti i passaggi
ancora prima di leggerli perché quasi ogni frase ti fa ricordare quella che
seguirà.
In questo Andromeda ― The Andromeda Strain, pubblicato nel 1969 ― abbiamo un Michael Crichton in forma strepitosa, all’apice della creatività e della
capacità di comporre storie emozionanti basate su rigorose teorie scientifiche.
Nel momento in cui stavano nascendo i moderni computer, in cui l’uomo stava per
mettere piede sulla Luna e la paura dell’olocausto nucleare non aveva ancora
abbandonato la mente delle persone, Crichton ipotizza il contatto con una forma
di vita aliena del tutto letale per l’uomo e la trasforma in una storia colma
di tensione e colpi di scena.
“Questa è la storia dei cinque giorni in cui si svolse una delle più
gravi crisi scientifiche americane”, dice l’autore stesso nella prefazione.
Una crisi potenzialmente catastrofica che coinvolge molte branche della scienza
e rischia di sfociare nell’uso di ordigni nucleari, e che l’autore orchestra in
maniera magistrale dosando interrogativi e rivelazioni in modo da mantenere il
lettore in uno stato di tensione continua, rispettando sempre, come in ogni
buon romanzo di fantascienza, una plausibilità inscalfibile e trovando
soluzioni finali perfettamente soddisfacenti.
La trama: al rientro sulla
terra, un satellite artificiale
precipita nei pressi del paesino di Piedmont, in Arizona: nel giro di poco
tempo tutti gli abitanti del paese sono morti, così come moriranno gli
sfortunati inviati a controllare la situazione. Viene allora attivato il Progetto Wildfire, un protocollo
segretissimo ideato in previsione di situazioni simili, i cui scienziati
si troveranno a investigare
freneticamente sulle cause della strage fino a identificare il responsabile in
un microrganismo contenuto in una
meteora che ha colpito il satellite in orbita.
Detta così pare quasi banale,
forse anche perché vi sembrerà di conoscere già la storia: da questo romanzo
hanno tratto un film (realizzato benissimo) e una serie televisiva, e sulla sua
scia sono usciti una miriade di emuli per lo più di qualità nettamente
inferiore.
Un espediente che Crichton ha
utilizzato per conferire realismo
alla narrazione è stato quello di costellare il romanzo di grafici, diagrammi,
stampate di computer, risultati di analisi di aminoacidi, rielaborazioni di
foto al microscopio elettronico e facsimili di documenti top secret, quasi come se ci trovassimo di fronte a una vera e propria
pubblicazione scientifica (mi ricorda la tiotimolina…).
Ora, capisco anche come questo possa non essere gradito a molti lettori ma,
forse a causa della mia formazione scientifica, a me questo sistema piace molto
e me lo sono goduto.
Con Andromeda siamo su un livello nettamente superiore rispetto ai mediocri
romanzi che l’autore ha scritto negli ultimi anni di vita (vedi), nei quali purtroppo
ha voluto tendere all’esagerazione a scapito della credibilità, e se dovessi
stilare un elenco di quelli che sono a mio parere i migliori romanzi di fantascienza
realistica di sempre, questo entrerebbe sicuramente nei primi dieci, forse
anche nei primi cinque.
Il Lettore
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