Ricordo
che nel ’97, quando
sentii parlare per la prima volta di un certo Andrea Camilleri che cominciava ad avere successo scrivendo in
siciliano, pur avendo cara quella terra nel mio cuore mi ritrovai restìo ad
intraprenderne la lettura, ritenendo a torto che uno scrittore dialettale non
mi interessasse a priori. Ma l’anno successivo comperai il primo libro della saga di Montalbano, La forma
dell’acqua, proprio mentre mi trovavo in vacanza a Siracusa - forse coinvolto
dal fascino della città - ed ebbi modo così di assestare un duro colpo ai miei
pregiudizi.
Nei quindici anni trascorsi
da allora ho letto quasi per intero l’opera
omnia del prolifico autore - controllando la mia libreria conto 61 volumi
con il suo nome sul dorso – decidendo di astenermi dal comperare le ultime
uscite solo negli ultimi mesi, quando cioè la mia personale riprovazione nei
confronti della politica commerciale degli editori che pubblicano Camilleri ha
superato l’aspettativa del piacere di gustarmi ogni nuova uscita. Anche perché
la piacevolezza del gustare era stata ormai guastata dalla sopraggiunta indigestione.
Purtroppo, dal momento che Camilleri vende,
Sellerio, Mondadori, Rizzoli, Skira, Libreria dell’Orso, Donzelli, Minimum Fax
e altri editori si sono buttati come iene sull’affare e stampano qualsiasi sciocchezza
esca dalla penna o dalla bocca del nostro e si sa, la quantità va sempre a
scapito della qualità. Dai romanzi ai racconti ai saggi ai pensieri ai giudizi
alle interviste ai dialoghi ai commenti ai ripensamenti è un continuo
succedersi in libreria di opere del, e sul, nostro, in una rincorsa al ricavo
che non lascia respiro, e nella quale si calpestano più che spesso i dogmi di
quella qualità letteraria sempre tenuta in primo piano da Elvira Sellerio finché
è rimasta in vita.
Al momento quindi mi sono
imposto, nonostante le migliori opere di Camilleri siano alcune tra quelle al
di fuori della saga di Montalbano, di comperare solo gli aggiornamenti relativi
a quest’ultima, e non posso fare a meno anche in questo caso di rimanere deluso
e amareggiato dalle scelte commerciali
della Sellerio post-Elvira. Scelte che lo stesso Camilleri sono convinto abbia
faticato ad accettare nonostante le entrate pecuniarie.
Un
covo di vipere è un
romanzo scritto nel 2008 che esce nel 2013, squassando la successione temporale
che gli affezionati lettori del Commissario seguono con apprensione,
segretamente sperando in ogni nuova puntata che il protagonista si decida
finalmente a piantare del tutto quella scassacabasisi
di Livia invece che limitarsi a cornificarla ogni tanto sia con i pensieri che
agendo di concreto. La stessa operazione era già stata portata a compimento con
Una voce di notte, uscito nel 2012 e
nel quale lo stesso Camilleri a fondo libro avvertiva che il romanzo era stato
scritto “alcuni anni prima”. Ma se un autore scrive e poi mette da parte, una
ragione ci sarà.
La struttura del romanzo si
articola sui soliti diciotto capitoli tra le 15 e le 25 pagine ciascuno e presenta
la piacevolezza alla quale Camilleri ci ha abituato, seppur con qualche nota
stonata che consiste sia nella facilità per il lettore di capire immediatamente
chi è l’assassino, togliendo quindi tutta la tensione derivante dalla sua individuazione,
sia nel restare spaesati di fronte, come si è detto, alle incongruenze
comportamentali dei personaggi in seguito allo sfasamento della linea
temporale. Ma nel complesso il libro si legge bene e fornisce “quasi” lo stesso
piacere dei migliori pezzi della saga.
Certo, forse è troppo
confidare in una raffinatura critica un pochino più accentuata da parte di
Sellerio, ma continuo comunque a sperare in un futuro diradamento delle uscite
che non condurrebbe ad altro che ad un aumento della qualità: Camilleri rimane
sempre Camilleri, ma non è detto che “tutto” quello che scriva sia
pubblicabile.
Il Lettore
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