mercoledì 16 maggio 2018

Il caso Fitzgerald


Un altro libro basato sulla meta-letteratura. Un altro scrittore morto alcolizzato. Un altro flop di John Grisham.


  

Meta-letteratura perché questo Il caso Fitzgerald è un romanzo che parla di libri, di scrittori e di editoria indipendente. Lo scrittore morto a soli 44 anni anche lui per aver abusato con l’alcool è Francis Scott Fitzgerald, uno dei pilastri della letteratura americana, che in questo blog segue a ruota nell’autodistruzione (nel suo caso reale) il Geoffrey Firmin del romanzo di Lowry (dopo Sotto il vulcano mi andava di tornare a leggere qualcosa di meno impegnativo), e i cui manoscritti originali vengono rubati dal caveau della biblioteca della Princeton University.
Il caso Fitzgerald però non mi ha dato nessuna soddisfazione perché non rappresenta più il John Grisham dei primi romanzi: è un libro sciatto, trasandato, scritto solo per scrivere confidando nel successo ormai consolidato che fa vendere qualsiasi cosa si butti giù.
Il romanzo parte dall’esecuzione del colpo alla biblioteca, per poi passare all’introduzione degli altri personaggi del gioco: un librario quasi per caso, una scrittrice squattrinata, un’investigatrice molto professionale. La caratterizzazione dei personaggi è superficiale e trascurata e alcuni dei personaggi si perdono per strada lasciando al lettore l’immaginarsi che fine facciano. Per di più, in molte descrizioni si notano delle imprecisioni che a volte assumono pure l’aspetto di vere e proprie inesattezze: “Spensero le luci, chiusero entrambe le porte e mentre uscivano sul porticato Denny rallentò per lasciare che Trey lo precedesse di un passo. Poi scattò, colpendolo forte al collo con entrambe le mani, con i pollici che premevano sulla carotide.” Il termine “colpendolo” non rende affatto l’idea che l’assassino afferri la gola della vittima per strangolarlo, senza contare il fatto che da dietro (rallentò per lasciare che Trey lo precedesse di un passo) è un po’ difficile piazzare i pollici sulla carotide.
Non volendo attribuire tutte le colpe al solo autore, diciamo che la responsabilità è della traduzione imprecisa, come quando si legge che uno dei manoscritti rubati è contenuto dentro una cassetta di acero con la superficie superiore di un’ottantina circa di centimetri quadrati. Una cassetta così (9 x 9 scarsi) potrebbe contenere tuttalpiù un pacchetto di sigarette, non certo l’originale scritto a penna de Il Grande Gatsby. E sarebbe stata la stessa cosa anche se fossero stati pollici inglesi (2,54 cm) invece di centimetri.
Per di più con l’andare avanti il libro si fa alquanto noioso, puntando l’attenzione su aspetti interessanti, sì, quali i rapporti tra scrittori ed editori, il commercio di libri rari, le numerose “fisime” degli scrittori stessi, ma trattati con sciatteria.
Alcuni nodi irrisolti vengono sciolti alla fine, ma di altri che l’autore ha sollevato non se ne sente più parlare lasciando il lettore con molte domande e un senso generale di irresolutezza.
Non è più il Grisham di una volta, i cui legal thriller erano emozionanti. A tratti sembra che il romanzo l’abbia scritto qualcun altro, qualcuno che abbia tentato di seguire una traccia solamente indicata nelle sue linee generali da John Grisham.
E probabilmente è successo così davvero.
Il Lettore 

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