Un altro libro basato sulla meta-letteratura. Un altro scrittore
morto alcolizzato. Un altro flop di John Grisham.
Meta-letteratura perché
questo Il caso Fitzgerald è un
romanzo che parla di libri, di scrittori e di editoria indipendente. Lo
scrittore morto a soli 44 anni anche lui per aver abusato con l’alcool è Francis Scott Fitzgerald, uno dei
pilastri della letteratura americana, che in questo blog segue a ruota nell’autodistruzione (nel suo caso reale) il Geoffrey Firmin del romanzo di Lowry
(dopo Sotto il vulcano mi andava di tornare
a leggere qualcosa di meno impegnativo), e i cui manoscritti originali vengono rubati dal caveau della biblioteca della Princeton University.
Il
caso Fitzgerald però non
mi ha dato nessuna soddisfazione perché non rappresenta più il John Grisham dei primi romanzi: è un
libro sciatto, trasandato, scritto solo per scrivere confidando nel successo
ormai consolidato che fa vendere qualsiasi cosa si butti giù.
Il romanzo parte dall’esecuzione
del colpo alla biblioteca, per poi passare all’introduzione degli altri
personaggi del gioco: un librario quasi
per caso, una scrittrice
squattrinata, un’investigatrice molto
professionale. La caratterizzazione dei personaggi è superficiale e trascurata
e alcuni dei personaggi si perdono per strada lasciando al lettore l’immaginarsi
che fine facciano. Per di più, in molte descrizioni si notano delle
imprecisioni che a volte assumono pure l’aspetto di vere e proprie inesattezze:
“Spensero le luci, chiusero entrambe le
porte e mentre uscivano sul porticato Denny rallentò per lasciare che Trey lo
precedesse di un passo. Poi scattò, colpendolo
forte al collo con entrambe le mani, con i pollici che premevano sulla
carotide.” Il termine “colpendolo” non rende affatto l’idea che l’assassino
afferri la gola della vittima per strangolarlo, senza contare il fatto che da
dietro (rallentò per lasciare che Trey lo
precedesse di un passo) è un po’ difficile piazzare i pollici sulla
carotide.
Non volendo attribuire tutte
le colpe al solo autore, diciamo che la responsabilità è della traduzione
imprecisa, come quando si legge che uno dei manoscritti rubati è contenuto
dentro una cassetta di acero con la superficie superiore di un’ottantina circa di centimetri quadrati.
Una cassetta così (9 x 9 scarsi) potrebbe contenere tuttalpiù un pacchetto di
sigarette, non certo l’originale scritto a penna de Il Grande Gatsby. E sarebbe stata la stessa cosa anche se fossero
stati pollici inglesi (2,54 cm) invece di centimetri.
Per di più con l’andare
avanti il libro si fa alquanto noioso,
puntando l’attenzione su aspetti interessanti, sì, quali i rapporti tra
scrittori ed editori, il commercio di libri rari, le numerose “fisime” degli scrittori stessi, ma
trattati con sciatteria.
Alcuni nodi irrisolti vengono
sciolti alla fine, ma di altri che l’autore ha sollevato non se ne sente più
parlare lasciando il lettore con molte domande e un senso generale di
irresolutezza.
Non è più il Grisham di una
volta, i cui legal thriller erano
emozionanti. A tratti sembra che il romanzo l’abbia scritto qualcun altro,
qualcuno che abbia tentato di seguire una traccia solamente indicata nelle sue
linee generali da John Grisham.
E probabilmente è successo
così davvero.
Il Lettore
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